Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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ARTE

Della bellezza si può pensare, filosoficamente, che sia oggettiva, oppure, come da senso comune, soggettiva; infine, misticamente, che vi sia in ogni cosa una propria bellezza, e che non vi siano cose più o meno belle, ma bellezze più facili o più difficili da scoprire.

E' piuttosto sciocco ripetere come un refrain che ogni artista esprime un'inquietudine. L'opera d'arte richiede quiete, ed anche produce quiete, in chi la crea ed in chi la contempla.

Domina nel Novecento l'idea che l'arte debba generare dolorosa consapevolezza degli aspetti più tragici della realtà, generando pensoso disagio, come se questo non fosse disponibile in ogni piega dell'umana esperienza. Questa è la conseguenza dello sguardo cattivo della filosofia, che non tollera nell'esperienza estetica l'originaria radice della gioia e della leggerezza.

E' piuttosto sciocco ripetere come un refrain che un artista è grande perché esprime qualcosa di profondo del proprio tempo. Non ha forse senso dire che un'opera d'arte non abbia tempo, ma ne ha sicuramentemeno affermare che sia espressione di un tempo.

Un poeta sempre di nuovo intraprende il cammino sul rischioso e stretto crinale sospeso fra sublime e puerile.

Forse sono tre le grandi stagioni dell'arte, che è stata intesa dapprima come rivelazione, poi come espressione ed infine come spettacolo.

Il rapporto con la musica dice molto sulla qualità di persone che si è. C’è chi è tutto preso dalla bellezza dei suoni in sé, dai timbri, restando così alla superficie sensibile delle cose. Altri sono presi soprattutto dal ritmo, manifestando l’impulso a velocità e dinamismo. Non mancano quelli che sono rapiti dalle melodie, dalla magia dei disegni e delle storie che le note raccontano, cosa che segnala una fantasia ed una immaginazione spiccate. Chi invece predilige le armonie, le composizioni armoniche di suoni, rivela uno spiccato gusto per la costruzione. Infine chi presta attenzione alla cosa più difficile, cioè alla logica della composizione ed al suo sviluppo, rivela un talento speculativo, un gusto spiccato per il pensiero.

L'arte può essere rappresentazione, ma non espressione di inquietudine e dolore, perché ogni atto di creazione è un atto di pura gioia.

La bellezza è una delle più cialtrone fra le parole, ed ha la pretessa di imporsi da sé, per la sua propria bellezza. E', in fondo, una delle tante metamorfosi della prepotenza, cioè della potenza che legittima se stessa da se stessa.

La follia, in musica, è l'insistito ed ossessivo ritorno di un tema: splendida metafora della follia umana.

Il celeberrimo inno alla gioia di Beethoven più che inneggiare alla gioia sembra intimare la gioia, ed in questa intimidazione possiamo leggere la cifra di una contemporaneità che ha fatto della felicità un sinistro imperativo.

Vera opera d'arte è quella che resiste alla sfigurante traduzione in una lingua differente.

Fra arte e realtà non c'è comunanza, parentela, complicità: sono due dimensioni che non confliggono, ma neppure collaborano.

Bello è ciò che si accompagna volentieri alla nostra felicità.

L'idea di un'arte che debba prendere a schiaffi le persone fa a pugni con la millenaria tradizione dell'arte occidentale.

L'arte è un atto di ribellione contro la tirannia della bellezza del consueto.

Si chiedeva un tempo all'arte conoscenza ed esperienza; ora tutto è ridotto ad emozione.

Chi non ha talento musicale pone l'accento più forte sugli aspetti formali; chi ne ha privilegia di gran lunga l'isprazione; chi ne ha molto è attento al'una e all'altra cosa.

I filosofi, forti con i deboli e deboli con i forti, hanno sempre vissuto con molta soggezione il confronto con le scienze, che non sanno ben comprendere, mentre hanno assunto un atteggiamento di grande supponenza nei confronti delle arti, che invece pensano del tutto alla portata del loro giudizio. Per questo da loro, soprattutto, è nata la bizzarra concezione del valore conoscitivo dell'arte, che dovrebbe rappresentare la realtà, evidenziarne problemi, difetti, crepe, ed avere addirittura la valenza di edificazione o denuncia. L'arte è invece la dimensione nella quale l'uomo si svincola dalla triste e dolorosa signoria della realtà, guadagnando, attraverso una sembianza derealizzata di realtà, una delle possibili forme di felice sollievo da questo dolore.

Esiste una musica che prende con discrezione congedo dal silenzio ed una musica che lo viola con arrogante baldanza.

L'arte, e soprattutto la musica, possono far comprendere il senso della postmodernità. La modernità, intesa come il tempo segnato da un incremento indefinito di valore, è alle spalle: da diversi decenni sembra tramontata la possibilità che si scriva qualcosa di grande, originale ed universalmente comprensibile. Di cose grandi forse se ne sono scritte, e di sicuro l'originalità è perseguita ossessivamente. Ma questa nuova grandezza, anche lavvove ci sia, è espressa in un linguaggio che esclude la comprensibilità universale.

Più cialtrona di ogni altra arte è la musica: con un'efficace colona sonora anche il più crudele fra gli uomini avrebbe qualche chance al cospetto del giudizio divino.

Ogni movimento nel suo terminare è più veloce: così un antico principio, che vale forse in tutti gli ambiti, tranne che nella musica.

Non si riflette mai abbastanza sull'enormità di quel che è accaduto da almeno un secolo a questa parte, sull'impressione, cioè, che quanto di davvero grande e "classico" l'arte potesse produrre è già stato prodotto.

Fra le arti, la musica è probabilmente la più esaltante: raramente i suoi cultori sfuggono al sentimento di appartenere ad una forma superiore di umanità. E' anche la più inebriante: chiama in gioco l'intero corpo, che viene solelcitato al movimento. E', infine, la più spietata: 'interprete, che è anche esecutore, ha un margine di errore tollerabile pari a zero.

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