Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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LA CONDIZIONE UMANA

Sapere qualcosa della condizione umana è condizione perché si sappia qualcosa di profondamente umano. Pensare di sapere tutto di questa condizione è condizione perché si progetti qualcosa di profondamente disumano.

La paura è la più diffamata delle emozioni: la si scorge alla radice di ogni nefandezza, dimenticando che la paura sa sempre, almeno a modo suo, ciò che teme, e sapendo genera più spesso saggezza che crudeltà. Bisognerebbe piuttosto dar nome al sentimento del nulla e dell'ignoto, ed a quella repulsione che spesso è madre di una prole nefasta.

Si sa per antica saggezza che dalla spavalderia non viene nulla di buono, e ciò vale massimamente per la spavalderia di fronte al nulla.

La fiducia ha un valore così alto perché la domanda di fiducia è molto superiore all'offerta.

Puoi chiedere decentemente a qualcuno di perdonare l'imperdonabile solo se lo riconosci prima come imperdonabile.

Nell'eterna domenica del presente si perde il sabato leopardiano perché si è persa la profonda gioia dell'attesa.

Se pensiamo che il tempo della nostra vita sia il solo tempo di cui disponiamo, entriamo nel circolo vizioso della disperazione: ogni istante appare sempre più prezioso perché erode ineluttabilmente il tempo finito; di conseguenza sentiamo di doverlo vivere nella piena sicurezza e gratificazione, il che ci rende sempre più ansiosi, insicuri ed incapaci di gustarlo davvero.

Ci sono vari modi per esorcizzare l'angoscia del nulla. Quello che forse condurrà l'umanità alla rovina è la fantasia di produrlo e quindi, in qualche modo, dominarlo.

Confondere l'amicalità con l'amicizia è una debolezza che gli antichi non ci perdonerebbero mai.

Il disumano è una forma dell'umano.

Nei mostri sacri l'aggettivo offusca il sostantivo.

Viviamo la condizione dell'opulenza e, forse, l'opulenza dell'occhio è quella che segna più di ogni altra l'incolmabile distanza rispetto ad un passato nel quale un'intera vita non valeva a mostrare gli scenari che oggi possiamo raggiungere in pochi momenti.

Vivere è per molti fare la parafrasi della propria vita.

Se avverti sempre più forte il disgusto per la frivolezza abbi l'accortezza di nasconderlo, perché non ti verrà mai perdonato.

Ci sono due tipi di persone, quelle che considerano i propri problemi come problemi del mondo e quelle che considerano i problemi del mondo come propri problemi.

Buona parte dell'umanità contemporanea sembra dimenarsi forsennata sul ciglio del nulla, come se strepitando potesse spostarlo un po' più in là.

Un segno della cultura anticamente intesa era la citazione; un segno della cultura dei nostri giorni è l'eccitazione.

Si parla di confidenze perché chi le fa deve confidare (ingenuamente) sulla amicizia e correttezza di chi le riceve.

L’esperienza dello specchio rivela che all’antico peso della colpa si è sostituito il contemporaneo soffocante gravame del disgusto o della vergogna.

Il tempo perso ci restituisce il senso acuto della sua finitezza; il tempo guadagnato ci apre spiragli di eternità.

Ci piacciono i classici non perché ci insegnino qualcosa che vale sempre, ma perché disegnano un mondo per il quale sentiamo una insopprimibile nostalgia.

La tonalità di fondo paradepressa dell'umanità contemporanea fa sì che chiunque diffonda euforia venga altamente apprezzato come vero benefattore del genere umano.

Lo spirito dei nostri tempi si mostra tracotante nei confronti del nulla, che viene nominato, sfidato, guardato in occhi che non esistono.

Ci sono certezze che armano le persone e certezze che le disarmano.

Siamo liberi. Liberi, dunque, anche di scegliere il nostro pubblico, quindi di scegliere i nostri carnefici.

Se ti dicono che tutto andrà bene vogliono in realtà dirti che ti dovrai farti andar bene tutto.

L'ultima cosa a scomparire, quando l'umanità scomparirà, saranno le apparenze.

Quando affermiamo di essere usciti arricchiti da una qualche esperienza intendiamo in genere che ne siamo usciti indenni.

L'avanzare dell'età rivela il cuore, perché là dove fu davvero il nostro cuore, la memoria resiste più tenace.

Disinibito, divoratore di emozioni, devoto alla religione dell'attimo: questa è la configurazione dell'uomo postmoderno, configurazione del tutto nuova nella lunghissima evoluzione dell'uomo sapiens-sapiens. Che sia l'ultima, sia effimera o sia destinata a durare, è impossibile a dirsi; certo è una domanda che l'uomo postmoderno non si pone.

Non esistono libertà gratuite: ogni libertà si paga con la moneta della libertà.

Lo sviluppo dell'intelligenza e dell'infelicità umane va di pari passo con lo sviluppo della sensibilità allo sguardo altrui: bambini molto piccoli neppure se ne accorgono, poi, pian piano, diventa qualcosa che sempre più disturba, turba, emoziona e rende schiavi.

Ci piaccino più di ogni altre le persone che sono come ci piacerebbe essere, solo di qualità leggermente inferiore.

I buoni sentimenti sono un lusso che il cinismo si concede volentieri.

Per sapere che cosa possiamo aspettarci dalle persone non possiamo fare altro che aspettare.

I buoni sentimenti guardano dispiaciuti alla cattiva realtà, tenendosene a debita distanza.

Libertà non è tanto fare ciò che si vuole, ma piuttosto volere ciò che si fa.

Affermare che tutto è puro per i puri è un modo gentile per dar loro degli sprovveduti.

E' comica una situazione per cui molti si divertono sulla pelle di pochi.

L'ansia ti prende e ti lascia, l'angoscia ti accompagna.

L'avvento della realtà virtuale consentirà il passaggio ad una condizione nella quale la realtà effettiva sarà per pochi.

Il tardi arriva sempre troppo presto.

Il mito dei miti della contemporaneità è che ciascuno possa essere assicurato e rassicurato su tutto.

I nemici della libertà sanno che non esiste schiavitù più opprimente di quella che imponiamo a noi stessi; per questo oggi hanno costruito la schiavitù del corpo.

Guadagnare tempo è spesso uno dei modi più sicuri per perderlo.

A voler salvare le apparenze si perde il senso stesso dell’apparire delle apparenze.

L'umanità ha curato per millenni l'angoscia del nulla con la religione; ora sembra avanzare inesorabilmente il tempo dei nuovi sacerdoti terapeuti della mente. Verrà però anche per loro il tempo del tramonto, e probabilmente saranno le macchine a prendersi cura di questa inestirpabile malattia.

Il desiderio gode di ottima stampa e reputazione; nessuno sente davvero il bisogno di andare a verificarne la fondatezza.

Quando è il desideiro che lascia a desiderare ci sentiamo più smarriti di bambini abbandonati.

Ciò che viene chiamato delirio di onnipotenza è più spesso un deliquio di onnipotenza.

Una delle metamorfosi più ipocrite delle anime belle è assumere la generica difesa della pace, in luogo di quella dell'aggredito.

Nella contesa titanica fra le dimensioni del tempo il presente celebra oggi totale vittoria: mentre, infatti, il passato è ridotto a curioso museo, tutte le certezze che all'uomo sono concesse riguardano appunto il presente (all'uomo viene data ampia rassicurazione su quanto gli può capitare nell'immediata quotidianità), mentre il futuro diventa la dimensione dell'assoluta incertezza (ciascuno si deve disporre al mutamento incessante senza l'ancora rassicurante della stabilità).

Quando si cominciò a parlare di una liberazione del sesso, non tardò molto ad affermarsi l'idea di una liberazione attraverso il sesso. Quanto tarderà a diffondersi l'idea di una liberazione dal sesso?

Dal dolore apprendiamo, ed è una lezione amara, cosa sia la realtà, cosa siamo noi stessi e, soprattutto, chi siano gli altri.

La costrizione motivata dalla necessità può essere dura, ma quella esercitata in nome della nostra stessa felicità è insopportabile.

Nella postmodernità il paradosso non genera più scandalo, bensì malcelato compiacimento.

La velocità caratterizza i nostri tempi: tutto, nel passato di cui possiamo avere contezza, ci appare lento, inascoltabile, inassistibile. La velocità non aiuta il pensiero, ma piuttosto la spensieratezza.

Sei disprezzato là dove non ricevi, ma elemosini informazioni.

La civiltà della vergogna sembra configurare un neopaganesimo, privo, però, del senso del limite verso la natura e soprattutto dello sguardo incantato rivolto ad essa.

La nostra civiltà è tanto imbevuta dei valori agonistici di quella greca che denominiamo sfida quello che oggettivamente altro non è se non un problema, salvo poi neppure chiederci da chi ci venga proposta questa sfida, cioè chi sia il nostro antagonista.

Mentre l'uomo comune può apparire, al più, irrequieto, all'uomo di cultura spetta di essere definito sempre inquieto.

"Nuovo" per secoli ha significato "ultimo" nel senso di "terminale"; oggi significa sempre "ultimo", ma nel senso di "più recente"; in entrambe le accezioni resta fermo che il nuovo sia l'ultimo che è primo nella scala del valore.

L'uomo è l'unico animale capace di compiere azioni raccapriccianti e di provare raccapriccio per le sue azioni.

E' nota l'esistenza degli utili idioti, ma non va dimenticata quella degli inutili saggi.

Non tutti i compromessi compromettono le giuste cause.

Contemplare: ecco un verbo che dalla grande tradizione della mistica è trasvolato ai lidi grigi della burocrazia.

Il sentimento del nulla suscita le più disparate reazioni nell'uomo. C'è chi riscopre una profonda spiritualità, che chi lo esorcizza con la volontà di nullificare tutto ciò che più debordante realtà, c'è chi lo fugge perdendosi in una serrata caccia alle cose, alle pratiche, alle emozioni.

A volte è come se consegnassimo, più o meno inconsapevolmente, al linguaggio gli aspetti peggiori di noi. Che senso ha, per sempio, dire che chi muore "se ne va" o "ci lascia", quasi ci facesse un torto, quasi dovessimo sgravarci di qualche senso di colpa nei suoi confronti? Corretto sarebbe bene dire, come pure si dice, che non c'è più, o, con modo inedito, che è stato portato altrove, se la fede ce lo suggerisce.

L'abito non fa il monaco, ma fa il cardinale.

La leggerezza è il nuovo nome dell'evanescenza.

Chi vuole liberare gli altri, spesso poco si preoccupa di verificare se davvero vogliono essere liberati, per cui, paradossalmente, cioè molto umanamente, nega agli altri la libertà di essere liberi.

Fra gli scontri più combattuti nella guerra per i significati è quello sul terreno della sessualità. La si può concepire in termini diversi, ma recingerla all'insieme dei contatti di piacere fra corpi, come una volta ebbe a dire M. Foucautl, rappresenta una riduzione dalle conseguenze di dolore difficilmente immaginabili, dal momento che nella sessualità è implicato qualcosa di molto profondo nell'essere umano, tanto che le ferite che si possono generare sono le più difficili da cicatrizzare, e comunque lasciano un segno che non ci lascia.

La condizione postmoderna meglio dovrebbe essere definita condizione postumanistica. I saperi dell'uomo lo hanno privato di ogni reale rilievo, pensadolo come effimero barlume dentro un reticolo di strutture. L'amministrazione dell'uomo lo rassicura con una ricca dotazione di libertà, consentendogli di divorare emozioni senza inibizioni, ma al tempo stesso lo chiude entro l'ampio recinto di una normalità normata dai saperi della psiche e della società. L'economia ne rivela l'inesorabile inessenzialità a fronte delle automazioni governate dal calcolo dei bit, ponendo il problema di cosa fare di miliardi di persone. L'ambientalismo ne denuncia la minaccia per il pianeta terra. A cosa porti tutto ciò anche la mediocre intelligenza umana può comprendere. Solo i coriacei residui umanistici possono farci sperare in un cammino alternativo.

La vita è dei belli.

Non sono le cose che balzano all'occhio, ma l'occhio che balza alle cose.

Due sono i grandi capitoli della vita. Nel primo resta intatta la convinzione che tutto possa ricominciare e rigenerarsi. Nel secondo si sconta la desolazione del mai più.

Se gli antichi Greci ci visitassero ci giudicherebbero una civiltà di efebi.

Di alcune persone ti accorgi quando sono presenti, di alcune quando mancano, di alcune mai.

L'avanzare dell'età semplifica le questioni più importanti, ma, putroppo, ci toglie anche il tempo nel quale potremmo godere di questa semplificazione.

Nell'impero dispotico dello sguardo tutto è concesso al nostro sguardo, ma anche noi tutto dobbiamo concedere all'altrui sguardo.

Ci sono fondamentalmente tre modi di vedere il mondo, nitido, sfuocato ed interessato. Nel primo siamo disincantati ed analitici, nel secondo romantici e sognatori, nel terzo abbarbicati ad esso.

Il desiderio gode di ottima stampa: che altro potrebbe desiderare di più?

La satira che un tempo castugava i costumi, oggi alimenta il malcostume della visibilità ad ogni costo.

Solo alla bruttezza viene negato ogni perdono, mentre la bellezza è garanzia di indulgenza plenaria.

La sineddoche sembra essere la figura retorica che meglio esprime il pensiero umano: tendiamo quasi irresistibilmente a considerare la parte che ci è nota come rappresentativa di un tutto che invece scorgiamo solo confusamente.

Passiamo la vita a mettere a fuoco tipi umani, del tipo: un tipo così non può che comportarsi così, e così via. Passiamo la vita a ricevere smentite che rimettono in gioco le nostre convinzioni sui tipi umani, e questo è il tipico smarrimento della nostra natura.

Siamo tanto sollecitati a guardare, in ogni piega della quotidianità, che abbiamo perso l'attitidune a vedere.

Perle porte dei social innumerevoli voci si affacciano ad affollare la nostra quotidianità, togliendoci solitudine e libertà di giudizio.

Gli uomini da sempre si sono comossi di fronte ad un tramonto o ad un'alba. Ma questi non sono stati da sempre spettacoli.

I buoni sentimenti dominano sempre la scena, allestita da sentimenti pessimi.

La lotta senza quartiere alla tristezza e l'impero indiscusso di euforia e divertimento sono l'inequivocabile segno della tonalità profondamente depressiva che domina nella civiltà dell'effimero.

Le cosiddette incomprensioni avvengono spesso perché ci si comprende fin troppo bene.

Fra le molte cose che cadono per disattenzione e per caso non trova posto l'occhio, che cade per attenzione, mai per caso.

Ci sono persone che, guardando gli altri, vedono un nulla e persone che non vedono nulla.

Non vi è nulla di più sgradevole di quelle persone che strusciano la propria anima contro l'altrui per ripulirsi della sporcizia che vi riconoscono.

Una scommessa è il sequestro del futuro. Senza riscatto.

Il vero desiderio, nel pieno della sua forza, è discreto e laconico; il costume, neanche troppo recente, di parlarne e di farlo parlare ne rivela la debolezza, quando non l'assenza.

Valuta sempre le conseguenze che un debito di riconoscenza verso di te comporta: non mancherà chi ti diverrà nemico solo perché non sopporta l'idea di non poter o non voler ripagare questo debito.

Invece di tendere l'orecchio viviamo lasciando distendere lo sguardo.

Nella ricerca della salvezza l'umanità si è, di epoca in epoca, rivolta a Dio, alla scienza, all'emozione.

Diciamo che una persona ci ripensa quando, in genere, semplicemente per la prima volta ci pensa.

Per alcune persone non ci sono sufficienti "i" prive di puntino per la loro smania di affibiarglielo.

Se tutto ciò che dici potrà essere usato contro di te sei in stato di arresto o in terapia.

L'essere umano non è fatto per l'incertezza: proprio per questo misuriamo la disumanità della nostra civiltà dalla predicazione instancabile di una nuova virtù, votarsi interamente alla religione dell'incertezza.

Se un tempo miseria e sofferenza suscitavano per lo più compassione, oggi suscitano sensazione e malcelato disagio.

Abbiamo quasi interamente perso il senso originario della nudità, segno, in passato, di umiliazione e negazione della dignità, tanto che il valore della persona si poteva misurare anche solo dal diritto di portare un copricapo. Oggi le cose sembrano andare a rovescio, perché l'esibizione quasi integrale della nudità sembra parlare il linguaggio della libertà e del pregio. Ma può essere che, sotto sotto (possiamo ben dirlo, parlando, appunto, di nudità) si voglia con ciò sancire che nessuno può più davvero rivendicare per sé valore e dignità.

Curiamo tanto la nostra immagine perché non possiamo immaginare che anche questa si decomponga. Ma ci sbagliamo.

Viviamo in un tempo curioso, nel quale vengono esaltate spontaneità e naturalezza in un contesto di comunicazione mass-mediale nel quale tutto è costruito ed impostato. Si potrebbe dire che la comunicazione di massa è un reticolare ed avvolgente sistema nel quale viene costruita la spontaneità e viene messa in scena la naturalezza.

C'è, oggi, una certa indulgenza nei confronti della malvagità, ma ce n'è molta meno nei confronti della tristezza.

Nella storia dei discorsi sulla sessualità si possono distinguere tre epoce. La prima e più lunga li avvolge nel mistero chiaroscurale, nel riferimento obliquo ed allusorio. La seconda, abbastanza recente, è quella della liberazione, della doverosità e dell'igiene sessuale, in nome della massimizzazione e democratizzazione del piacere sessuale. Ora è probabilmente giunto il tempo dell'atletismo sessuale, all'insegna di performance e score.

L'arte di un'onesta approssimazione è fra le più preziose nella vita, che, essa stessa, è un'onesta approssimazione alla morte.

Giudica un uomo da ciò per cui piange, ma ancor più da ciò di cui ride.

Chi ha detto che le inibizioni sono un peso che attende solo che qualcuno ce lo tolga di dosso? Sono una compagnia spesso tanto discreta quanto confortante.

Se è l'emozione a riempire di significato l'esistenza, ciò che resta nel tempo fra un'emozione e l'altra è il vuoto.

C'è una situazione in cui tutti sono gentili con noi come non lo sono stati mai, ma, suprema ironia dell'umana condizione, non abbiamo modo di rallegrarcene, perché siamo da poco defunti.

Nel vecchio c'è il senso di colpa di essere un abusivo della vita, nel giovane il senso di liberazione di abusare della vita.

L'occhio vuole la sua arte.

Ciò che appare, empiricamente, abbastanza certo è che il sapere non rende né migliore né peggiore l'uomo: virtù e vizi convivono altrettanto bene con l'ignoranza e la conoscenza.

Nella percezione di un futuro rattrappito il domani viene ridotto all'indomani.

La desacralizzazione muove dal lento cammino di allontanamento dalla cura dello spirito in direzione dela cura del corpo. Ma viviamo ormai un tempo post-secolarizzato, perché ora il cammino lascia inesorabilmente (anche se ancora impercettibilmente) la cura del corpo per puntare alla cura della nostra immagine digitale.

E' umano tutto ciò che può infrangere verso il basso o l'alto i limiti dell'animalità; verso il basso con il piacere della crudeltà, verso il basso con la tutela del debole.

Il nichilismo non è solo sentimento del nulla, ma volontà del nulla che ne esorcizza l'angoscia, secondo un meccanismo infantile che forse porrà termine all'esistenza dell'uomo sulla terra.

La malsana gioia di porre ovunque regole attenua la nostra meschina sete di divinità.

Secondo un bisogno profondamente umano, ricercare le cause delle cose significa ricercare le accuse.

Non è vero che portiamo sempre delle maschere: i disadattati ne sono in genere sprovvisti.

Non c'è peggior sordo di chi non vuol mentire.

Veniamo alla vita, prima di nascere, udendo, e lasceremo la vita ascoltando nella tenebra fatta.

Abbiamo molto da imparare dalla parola "schermo" e dal bizzarro percorso che l'ha portata, dal significato originario di ciò che nasconde, o scherma, appunto, a quello di ciò che mostra ai nostri occhi, in un dispositivo digitale, la realtà che per noi è davvero tale.

La potenza dell'apparire si è fatta storicamente strapotenza ed oggi è semplicemente prepotenza.

C'è un pianto che rasserena ed un riso che raggela.

Vecchiaia è la stagione in cui tutto sembra farsi chiaro, prima che si offuschi.

La stoltezza umana si manifesta in molte sciocche espressioni, come quando si parla de "il nostro tempo", quando in realtà siamo noi ad appartenere interamente al tempo.

Bizzarro essere, l'uomo: chiama "riempire il tempo" la pratica sistematica di svuotarlo.

Così come alla lotta per la sopravvivenza si è in larga misura oggi sostituita la lotta per la visibilità (per entrare nel cono di luce al di fuori del quale c'è solo l'insensata tenebra), alla preoccupazione per i posteri si è sostituita quella per i post.

Dove cade l'occhio, là l'occhio cade.

La posibilità di intervenire nei social senza l'obbligo di rivelare la propria identità è, di per sè stessa, un'istigazione all'irresponsabilità ed alle violenza.

Quando giudichiamo noi stessi ci mettiamo nella migliore posizione, perché nostro è il codice penale ed il codice di procedura penale, noi stessi siamo giudici, corte giudicante e perfino testimoni. Eppure non sempre il giudizio termina con una assoluzione.

Quando la ricerca delle responsabilità non porta a nulla, bisognerebbe provare a cercare le irresponsabilità.

Un sorriso può essere una promessa o una minaccia. Nella maggior parte dei casi, però, è un inganno.

L'effimero è, per significato etimologico, l'orizzonte della quotidianità. La sua metamorfosi contemporanea lo ha trasformato da icona del transitorio a stabile punto di riferimento nella ricerca del senso.

Prima di inanellare banali critiche alla civiltà delle immagini, ricordiamo che questa ci consente almeno (e finalmente) di avere un'immagine forse non vera, ma realistica di guerra ed altre atrocità, esperienza negata alle generazioni precedenti.

Ricordare, a chi è nel lutto, che la vita va avanti significa privarlo di uno dei pochissimi momenti in cui sperimenta l'unicità ed incommensurabilità di una situazione, perché il dolore non si commisura e non si compara. E' però anche vero che molti accolgono di buon grado l'esortazione, e vi scorgono una promessa: nessuno sarà troppo severo se torneranno assai presto agli orizzonti della quotidianità.

Crediamo che fuori dal cono di luce della visibilità stia solo il freddo ed oscuro alito dell'insignificanza, mentre forse sta la tiepida penombra della serenità.

Superare l'ossessione per la domanda "di chi è la colpa?" è principio di civiltà; superare il senso di colpa è principio di barbarie.

Ultima e più fragile delle creature, la fiducia uscì dalle mani di Dio come luce fioca che fronteggia il buio profondo.

Passiamo tutta la vita a commisurarci con gli altri, ed il loro sguardo modella giorno dopo giorno l'intero nostro essere. E quando vogliamo conoscere noi stessi, ci illudiamo che questo compito possa avere un senso nella solitudine del nostro essere.

L'uomo si è sempre pensato sovrano degli animali; oggi si pensa il loro Dio, ed apparecchia per loro inferni e paradisi.

Siamo molto più attratti dale assoluzioni che dalle soluzioni.

Alla scortesia non si fa mai l'abitudine, mentre della gentilezza non ci si stanca mai.

Nella civiltà del "plausum" l'applauso e la sua evoluzione digitale, il like, segnalano quanto viene incondizionatamente approvato, che è poi tutto quanto esprime pathos, emozione.

"Ipsa senectus morbus est" (la vecchiaia è di per sé una malattia), sentenziava amaramente Cicerone. Oggi verrebbe tacciato di gerontofobia, perché non è più consentito a nessuno di crogiolarsi nell'autocommiserazione senile. Ma forse la vera gerontofobia è proprio questa negazione caricaturale della vecchiaia.

Nell'esperienza del lutto sperimenti anche la profonda stupidità malvagia dell'essere umano. C'è chi sollecita a non piangere quando proprio il pianto è profonda consolazione, chi non perde l'occasione per commisurare e soppesare un dolore con un altro, chi valuta accuratamente la congruità del lutto rispetto a quanto ci si può aspettare di vivere e soffrire, chi non si trattiene dal lasciar libero campo alla più inopportuna curiosità, chi pensa pietoso stordire la persona nel momento dell'ultimo saluto al caro scomparso, chi pensa pietoso stordirla anche dopo. Alla fine quel che resta da elbaorare non è tanto il lutto, quanto questa penosa carrellata di impietosa pietà.

Un tempo le contraddizioni si scioglievano. Poi venne il tempo in cui si pensò che le contraddizioni dovessero essere composte o mediate. Oggi, a seconda delle circostanze e delle convenienze, pensiamo che le contraddizioni si possano ignorare o esibire.

Siamo convinti che l'incapacità di provare emozioni ed empatia differenzi l'intelligenza artificiale da quella umana. L'evoluzione delle macchine e l'involuzione degli uomini porterà però, probabilmente, ad un rovesciamento: di fronte a macchine che avranno imparato perfettamente a simulare empatia e comportamento umano staranno uomini che ne avranno perso il senso.

Sventura per l'uomo è sommare dolore a dolore, fortuna lenire un dolore con un altro dolore.

Le lacrime più amare sono quelle che si inghiottono.

Niente è più insidioso e sdrucciolevole dell'ovvio.

La cultura presume sempre un po' troppo di sé, perché, in genere, è una divagazione dai temi dell'angoscia, della definitività, della profondità, della serietà e perfino dello spirito, qualunque cosa esso sia.

Ciò che rende tanto attraente il sesso ai nostri occhi non è quel che davvero ci dà, ma l'ammiccante promessa di offrirci una porta d'ingresso al potere su un'altra persona.

L'umanità non si estinguerà prima di essersi posta seriamente il problema di chi potrà certificarne l'estinzione.

Vorremmo ingannare il tempo, ignari di quanto sia piuttosto il tempo ad ingannare noi.

Il tempo è medico, ma raramente è medico pietoso.

Libertà è sostantivo che mal sopporta il singolare, sia perché di libertà non ve n'è una sola, sia perché la libertà non è di uno solo; di qui l'esigenza di pesare le libertà, per poi poerle armonizzare.

Nella proliferazione dei molteplici ordini di cui la mente dissemina il mondo non appare il disegno di un ordine complessivo, e neppure qualcosa che sembri lontanamente un'architettura. Il paradosso è lo spiraglio attraverso il quale possiamo scorgere quest'assenza.

Il pensiero della morte dà sapore alla vita, ma la morte, quella vera, è impensabile, inimmaginabile, incredibile.

L'incontro di due solitudini molto spesso non le annulla, ma le esalta.

Chi invita a non fascarsi la testa prima di romperla dimentica che con la testa fasciata ci si fa meno male, quando la si batte.

Ci sentiamo soffocare quando non abbiamo possibilità e lottiamo per avere più possibilità. Ci sentiamo angosciati quando abbiamo più possibilità fra le quali decidere, e preghiamo perché il destino decida per noi.

Si può parlare sensatamente della condizione umana solo a condizione di starne, per così dire, ai bordi.

Non tutto il male viene per suocere.

Con grande disprezzo si condanna ancora la meretrice, perché vende il suo corpo; eppure tutti oggi siamo indotti a farlo, vendiamo il corpo nel mercato delle pratiche e dei prodotti che lo ornano, abbelliscono, disegnano, marmorizzano.

Tutto è puro per i puri, finché non si svegliano. Ed allora non lasciano più che alcun altro dorma.

Vivendo possiamo fare molto bene agli altri, ma spesso morendo ne faremo ancora di più, perché faremo capire a buona parte di quanti accorreranno alle nostre esequie quanto si debba gustare l'esser vivi. Ma questo bene sarà tanto prezioso quanto effimero.

Non saremo mai abbastanza devoti a quanti non solo ci confermano che abbiamo ragione, ma ci svelano che abbiamo ragione in un senso più profondo di quanto supponessimo.

Sprofondare nella demenza non sarebbe così tragico se uno degli ultimi concetti ad offuscarsi non fosse proprio quello di demenza.

Il pudore (non, banalmente, la vergogna) è un sentimento tanto invincibile quanto originario, che non si lascia dedurre da alcunché di filosofico o psicologico e che misteriosamente signoreggia il nostro animo ed altrettanto misteriosamente si dissolve.

La perdita del senso della coerenza è il primo passo verso la disumanità.

Un tempo i sentimenti generavano emozioni, oggi ne sono la somma.

Riscatto è, insieme, liberazione e quel che ci viene estorto per la liberazione.

Nell'interessarci del dolore degli altri abbiamo il nostro bel interesse: ci può far star meglio, perché ci sentiamo persone buone; ci aiuta ad accettare la nostra condizione, considerando che c'è chi sta peggio; alimenta il nostro bisogno di odio, perché ce la possiamo prendere con chi è causa del dolore altrui; ci rassicura rispetto al destino, perché, per quel tanto di superstizioso che alberga in noi, ci fa credere che esso non ci punità per la nostra insensibilità.

Nella vita cerchiamo di liberarci di un sacco di cose, non ultimo delle nostre libertà.

Anche ai criminali nazisti venne concesso di difendersi. Alle vittime del chiacchiericcio malevolo non viene data neppure questa possibilità.

Di fronte al nuovo imperativo categorico che ha nome visibilità viene rispolverata l'antichissima saggezza infantile che trova nelle parolacce un ottimo espediente per farsi visibili.

Punizione e vendetta ci fanno sentire incredibilmente creditori nei confronti della felicità, ma si tratta di un credito che non potremo mai esigere.

La vittima diventa davvero tale solo quando viene consumata dalla convinzione di meritare quanto subisce.

Ti perdoneranno di aver tolto libertà agli altri molto più che di averne donata.

Non ha senso chiedersi se il carcere renda migliori o peggiori le persone: semplicemente rende tutto più intenso, esasperato od esaltato, e questo accade anche per la bontà e la malvagità.

Il sesso è come il glutammato, un esaltatore di sapidità, della propria sapidità. Attraverso di esso risalta di cosa sappiamo, tenerezza, garbo, ritegno, malinconia, crudeltà, stupidità e cialtroneria, perché lo si può praticare perfino in modo cialtronesco.

Fantasmi e miti inventati per fronteggiare l'angoscia della morte condannano l'uomo ad una condizione ben peggiore della morte.

Il caos di babele non ha distrutto l'unica lingua universare, ma l'ha trasformata nel codice della commensurabilità e dello scambio di equivalenti, cioè nel denaro.

Quando un'immagine si impone a nostro occhio, quel che più ci influenza, al di là della nostra consapevolezza, è il punto di vista che ci viene imposto.

Meglio una domanda mal posta che mai posta.

L'aspetto più problematico della maggior parte dei problemi è che non sono davvero tali.

Tre tappe del farsi dio per gli altri: disporre della loro libertà, giudicare della loro bontà, giudicare della loro felicità.

Viviamo una civiltà saturnina. Nel mito di Saturno è tratteggiato l'aspetto più fosco dell'umanità contemporanea: il dio che divora i suoi figli disegna il segreto impulso a divorare il futuro per l'insaziabile voracità del nostro presente.

Si dice che tutto abbia un prezzo. Uomini compresi, che sono in genere anche a buon mercato: si comprano facendo loro credere che sono le persone più importanti del mondo, e non ci si deve neppure sforzare troppo per risultare credibili.

Di buone intenzioni è lastricata la via che porta all'inferno (degli altri).

Il riso è un'offesa che gode di unanime consenso e legittimazione.

Da quando la fede in Dio sembra vacillare rinasce il sogno di onnipotenza degli uomini divini (tali si credono gran parte di coloro che possono disporre della vita e della morte degli altri).

Il nazista che è in noi non si dai mai per vinto e non dispera mai di poter trovare lo spiraglio per trapelare.

Nella civiltà delle immagini soffermiamo la nostra attenzione su ciò che ci colpisce, l'immagine vista, appunto, non su ciò che davvero è essenziale, ma non può essere visto, il punto di vista sotto cui l'immagine è vista.

C'è un pianto che è liberazione, quando finalmente decidiamo di poter avere pietà di noi stessi. C'è un pianto che è mistificazione, quando banalmente contrattiamo uno sconto sulle nostre responsabilità.

La fitta trama dei social accelera l'alvearizzazione del genere umano, che apprende sempre più a muoversi in sincrono come uno sciame.

L'emozione è l'ultimo desiderio concesso all'attimo prima della sua condanna al nulla.

Il dubbio è la protesta del cuore contro la tirannia della ragione e della volontà.

Si dice che il concetto di malattia mentale sia problematico e controverso, ma lo è ancor più quello di salute mentale.

Lasciare agli altri la loro libertà è qualcosa che difficilmente viene perdonato.

Esiste una qualche profonda affinità elettiva fra l'uomo e la produzione incontrollata di spazzatura. Se ne sta riempiendo la biosfera, si comincia a contaminare lo spazio, ve ne sono quantità di tutto rispetto nel web.

La scusa non richiesta non è, come vorrebbe il proverbio, un'accusa manifesta, ma solo una scusa disperata.

Chiamiamo assai impopriamente social quei mezzi che promuovono non socialità, ma tribalità, cioè un insieme di pratiche di iniziazione, propiziazione e sacrificio rituale. La socialità è tutt'altra cosa. Meglio sarebbe, dunque, parlare di tribal.

Nel lessico dei social il nobile concetto di condivisione, che è far parte di quanto è propri agli altri, è stato declassato ad esibizione, cioè imporre agli altri l'attenzione su ciò che è proprio.

Ciò che fa la differenza fra gli uomini (qualunque cosa sia questa differenza) è il grado con cui avvertono l'altra persona come persona, da quelli che ne sentono la presenza con tale intensità da risultarne turbati e quasi feriti (e quindi la possono vivere con timore e disagio) a quelli che non ne sono toccati (e quindi vivono con tranquilla e gradevole socievolezza tutte le relazioni umane).

La vita è un malinteso mai chiarito.

Quando subisci un torto, non confidare troppo nel risarcimento: è già molto che non ti presentino anche il conto del senso di colpa che hai suscitato.

Quando non ne possiamo più e desideriamo solo che qualcosa finisca, poco ci importa dove finisca.

Viviamo in una civiltà fondata sul senso della colpa. Per quanto gravoso esso sia, non abbiamo a disposizione altro che ci trattenga dall'orrore della devastazione, che semplisticamente chiamiamo barbarie.

Da una stessa sorgente sgorgano la più tersa felicità e l'angoscia più profonda, lo sguardo dell'altro.

Insuccesso è essere chiamati per quel che si è (prepotenti se prepotenti, inetti se inetti).

Copriamo la spietatezza nella vita quotidiana con i vestiti dei buoni sentimenti.

L'ipocrisia, cioè l'estrema difficoltà di riferire anche a se stessi la misura che applichiamo agli altri, è il denominatore comune della condizione umana.

Per qualcuno la colpa è una porta aperta alla disperazione, per altri al bisogno di espiare; per altri ancora, però, sentieri colpevoli è già sentiersi perdonati. E questi portano la cenere sul capo con una punta di vezzo.

Non è facile riconoscere il puzzo dell'ipocrisia, ma una volta avvertito lo riconosceresti fra altri mille e ti stupisce di quanto spesso si faccia sentire.

La lotta titanica fra passato e futuro ha segnato la civiltà ormai tramontata; oggi vige la pace sotto l'imperio del presente.

Nella natura, insensibile rispetto al nostro senso della coerenza, idillio ed orrore convivono fianco a fianco.

Argomentare è diventato oggi qualcosa di profondamente malsano. Mancano gli spazi, non c'è tempo, non c'è modo, ed anche quando si spunta la possibilità di farlo, è difficile trovare chi ascolti o, ascoltando, comprenda. Per questo argomentare significa sperimentare l'angoscia della solitudine, il che turba non poco la salute mentale.

E' difficile parlare del tempo galantuomo visto che la maggior parte della gente pensa che sia una triste traversata dal mos maiorum al mos malorum.

I bambini imparano molto presto che esistono due tipi di persone, quelle alle quali non verrà mai perdonato nulla e quelle che non si vede l'ora di perdonare.

Ogni cosa si adagia nella sua beata imperfezione. Solo lo sguardo dell'uomo non conosce riposo.

Scambiare significa sempre anche scambiare, cioè dietro ogni fraintendimento c'è un baratto, più o meno consapevole.

C'è un'antichissima e segreta intesa fra sentimentalismo e cinismo: entrambe si alimentano della sazietà dell'apparente opposto.

Viviamo le cose sempre più come segnali, piuttosto che come segni, cioè come indicatori di qualcosa che si mostrerà, piuttosto che rimandi a qualcosa che esiste ma non si mostra.

All'ormai vetusta categoria dell'arrampicatore sociale si è affiancata quella dell'arrampicatore culturale.

Popolare è colui del quale si pensa: non potrei mai essere come lui, ma lui potrebbe essere come me.

Una civiltà nella quale il futile diventa essenziale è assediata dal sentimento del nulla incombente.

L'occhio vuole la sua parte. E quando l'ha ottenuta, cessa di guardare.

La spietatezza della vita è sempre anche spietatezza nella vita.

Il tempo è denaro, ma poi anche il denaro è tempo, perché ci permette di trannenere qualcosa di questo bene sommo che, appunto, è il tempo.

Non è mai troppa la cenere con cui cospargere il capo, soprattutto degli altri.

L'emozione è l'ultimo desiderio concesso all'istante prima della sua condanna a morte.

L'indulgenza, come impariamo fin da piccoli, è fra i doni elargiti in misura più diseguale agli uomini: chi ne ottiene in misura ollimitata, chi non ne ottiene alcuna. E non è semplice indovinarne la ragione. Certo il merito non c'entra granché.

Fra i cinque sensi non vi è mai stata amicizia, bensì dissidio di quattro contro uno. Lo segnala il linguaggio: si può parlare di "sentire" in riferimento non solo all'udito, ma anche a gusto, olfatto e tatto. Resta fuori la vista, che però, a dispetto del suo isolamento, oggi la fa da padrona.

Da bambini abbiano di noi stessi l'immagine che gli altri ci restituiscono; da adolescenti crediamo di essere diversi da come tutti ci vedono; da adulti costruiamo una qualche mediazione fra questi due aspetti; da vecchi scopriamo che solo un disonesto può davvero pensare di sapere chi è.

Il dolore è la più grande contraddizione: lo sentiamo come la cosa più nostra, e nel contempo vorremmo incatenare ad esso l'intero universo.

Ci sono persone che vengono messe al mondo, persone che imparano a stare al mondo e persone mondane.

Il modo più sicuro per rovinarsi la vita è quello di chiedersi come valga la pena di viverla.

Bellezza ed impunità coltivano un'antica segreta complicità.

Ci sono cose alle quali tendiamo solo perché le abbiamo iniziate. Il compimento è un assillo che accompagna buona parte dei nostri passi, e chi vuole servirsi degli altri deve spesso solo indurli a cominciare qualcosa.

Natura è il limite che siamo disposti ad accettare.

Nella lotta fra ragione e cuore la vittoria arride oggi al cuore, avvertito come principio di ogni valore e perfino argomentazione. Ma questa vittoria è pagata a caro prezzo: il cuore viene rattrappito ad emozione.

Non si deve mai cessare i stupirsi di fronte alla facilità con la quale esseri umani manipolano e sono manipolati. E fra i principi della manipolazione uno dei più efficaci è l'uso di messaggi contraddittori.

Probabilmente l'ultimo pensiero, prima di morire, è: "ma allora è vero" (che si debba morire).

L’inquietudine ama coniugarsi con la profondità, ma si tratta di nozze bianche.

Nessuna catastrofe immaginabile è così apocalittica da non poterci fare qualche chiacchierare sopra.

Vero delirio di onnipotenza non è pensare di poter fare tutto, ma di poter convincere tutti di tutto.

L’assassino torna sempre sul luogo del diletto.

Non siamo soli nell'universo. Al massimo fugaci comete.

I bambini imparano fin da molto piccoli che il riso è un potente antidoto contro la vergogna.

Scoprire di avere un faccia significa perdere l'innocenza; scoprire di poterla perdere significa perdere la felicità.

L’uomo distinto prende congedo dall’uomo d’istinto.

Un vecchio adagio afferma "omne animal post coitum triste", ogni animale dopo il coito è triste; fa eccezione l'uomo, che è triste dopo un massacro.

Giovane è il disgusto, giovanissimo il fanatismo.

Essere vecchi è già di per se disprezzabile, ma esserlo e non sapersi divertire è semplicemente ignobile. Questo vuole lo spirito dei tempi.

L'idea che l'uomo sia fondamentalmente "economico", cioè legato al calcolo degli interessi, serve solo all'economia del pensiero.

Non vi è nulla di meno innocente di un’innocente battuta.

L'uomo si muove nel mondo come in un gioco di specchi: ovunque scorge una metamorfosi di sé.

Ciascuno vorrebbe incatenare l'universo al proprio dolore.

Pensiamo di aver ridotto radicalmente la distanza che ci separa dagli animali, ma il linguaggio dice il contrario: in passato si parlava di "uomo", così come di "cane", "tigre", e così via. Oggi sono rimasti cani e tigri, ma l'uomo è stato sostituito dall'umano, un aggettivo contro uno stuolo di sostantivi. Una distanza linguistica un tempo inesistente, qualunque cosa ciò voglia dire.

Non potremmo reggere la sofferenza se non pensassimo che è dal destino, è colpa di qualcuno, è condizione per un qualche bene futuro.

La comprensione dell’uomo è essenzialmente legata alla comprensione della situazione infantile che ossessivamente rimette in scena nei più diversi contesti: così fra gli uomini, come fra i bambini, ritrovi quello che inchioda sistematicamente gli altri a sensi di colpa, rincorre l’impossibile desiderio che i propri desideri siano indovinati, si nasconde per essere cercato e consolato, custodisce come perline colorate le parole più care, lottando per il loro possesso, si affanna per sorprendere cosa sia davvero la grande verità (dei grandi),…

Ogni civiltà è qualificata dalle metamorfosi della vergogna. Un tempo ci si vergognava della viltà, dell'insincerità, della lealtà, oggi ci si vergona della tristezza, della malattia, della bruttezza e, più di tutto, della stessa vergogna.

Le vittime interessano fintantoché gridano la loro rabbia o piangono il loro dolore; per il resto scontano nel silenzio la colpa del loro avverso destino.

Come una lente, Internet rende più visibili i dettagli dell'animo umano. E appaga l'universale bisogno di giudicare, dare regole, esibire.

Lontanissima appare ad uno sguardo superficiale la condizione di solito qualificata come primitiva, quella di un'umanità dominata dalla visione magico-animistica e superstiziosa della realtà. Ad uno sguardo pù attent o, invece,essa appare ancora nella sua forza quasi intatta. Diverse convinzioni, ancora fortemente radicate nell'umanità contemporanea, inducono a questa diagnosi:
- fortuna è merito e sfortuna colpa;
- il linguaggio racchiude la realtà profonda di ciò che nomina;
- il linguaggio non si limita a nominare, ma evoca, rende presente la realtà: per questo alcune realtà sono innominabili (alcune parole solo a fatica e con paura vengono pronunciate) e dire un setimento equivale a provare un sentimento;
- si combatte per le parole, per appropriarsene, per conquistarle a presidio del proprio concetto delle cose;
- il potere della parola sugli uomini è enorme;
- il cattivo sguardo degli altri è fra le cose più temute, perché si teme il suo potere di provocare il male augurato;
- si pensa che nulla possa resistere a qualcosa di oscuro che ha nome destino;
- la forza appare divina e la debolezza degna di disprezzo;
- ignorare una realtà equivale a relegarla nell'irrealtà;
- ciò che è appariscente viene avvertito come più reale;
- è tabù parlar male di chi è appena morto.

C'è ci non sa dare confidenza senza prendere in giro e chi non sa fare un complimento senza offendere (più o meno velatamente).

La profonda angoscia per il deforme e quella ancora più profonda per l’informe hanno trovato nella civiltà umana potenti antidoti nel quotidiano affanno per le necessità materiali e nelle grandi costruzioni formali della cultura, dell’arte, dell’ideale, della conoscenza. Triste simulacro di questi potenti farmaci è oggi l’imperativo categorico a dar forma e tono ai muscoli.

Curiosamente, proprio l’uomo, che potrebbe essere frutto del caso dei casi, è costitutivamente incapace di credere al caso.

Il teatro rappresenta la condizione umana non nel suo contenuto, ma nella sua forma.

L'eccezione conferma l'ipocrisia della regola.

Un tempo la lotta per la vita era, per l'uomo come per gli altri animali, lotta per la sopravvivenza; oggi è lotta per voler vivere e gustare la vita a tutti i costi.

Secondo Andy Warhol nella democrazia del futuro ciascuno avrà diritto ai suoi dieci minuti di celebrità. Ma essendo ciò palesemente impossibile, forse si dovrà ripiegare su questa idea di democrazia: ciascuno avrà diritto a scrivere anche un solo comma di una qualche regola.

Vivere con forte disagio, per eccesso di sensibilità, le relazioni sociali è classificato come disturbo sociale di personalità; vivere disturbando con piccole e sistematiche angherie gli altri non lo è. Nelle categorie psichiatrice si legge in filigrana un'immagine dell'uomo che non è mai scientificamente neutra..

La solitudine è molto più una convinzione che una condizione.

Nella ricerca delle cause delle cose sopravvive sempre l'antichissima radice della ricerca delle colpe.

La presa in giro è il più banale ed universale rito di iniziazione ad un gruppo: dice che i diritti del gruppo sopravanzano di gran lunga quelli del singolo.

Chi vede il bicchiere mezzo pieno spesso se n'è bevuta l'altra metà.

I nuovi modelli non sono imitati da tutti, ma tutti imitano.

Si dice che nessun uomo abbia un prezzo; in realtà spesso costa solo pochi sorrisi.

Ci interessa assai poco che gli altri esaudiscano i nostri desideri: vorremmo che li indovinassero.

I colpevoli sono molto interessanti, perché rappresentano sempre un'allettante promessa di redenzione; essere vittime è invece quasi solo una colpa.

Il sentimento della lusinga sostituisce nel pubblico contempaneo quello dell'ammirazione.

Il concetto di valore ha attraversato tre grandi epoche: in origine il valore coincise con l'eroismo e l'eccellenza, poi venne l'epoca del valore come dedizione e rinuncia. Oggi vale ciò che suscita emozioni.

Dalla convinzione della radicale finitezza umana si trae l'imperativo del "carpe diem". Strana logica: di solito pare saggio non affezionarsi troppo a ciò che si è destinati a perdere.

L'età dell'incanto termina quando ci abbandona, per via, la convinzione che tutto possa essere risanato, tutto reintegrato, tutto ricondotto all'origine felice.

Cosa accadrà all'uomo quando avrà realizzato che, dopo lo scippo dell'eternità, deve subire anche quello del futuro?

Il saluto è un rito che ci sgrava dell'imbarazzo di sentire l'altra persona come davvero altra; ma se per caso si incontra una medesima persona per la seconda volta a breve distanza di tempo, si avverte con tutta la sua forza l'imbarazzo di questa presenza, e si resta incerti sul da farsi. Tutto ciò è insieme comico e rivelatore.

Calcolo delle probabilità è ciò che aplichiamo agli altri, non a noi stessi.

Affermare che l'uomo sia l'unico animale che recita è ancora troppo poco: egli recita anche nel recitare.

L'unico aspetto pietoso dei discorsi funebri è che i morti hanno altro di meglio da fare che prestare ad essi attenzione.

Non ci vuole molto a comperare gli altri, basta far loro credere che sono persone speciali.

Il "pathei mathos" di Eschilo, cioè l'apprendere dalla sofferenza, è uno di quegli insegnamenti che si dimenticano troppo in fretta.

Nel mito di Pigmalione si esprime l'antico sogno che la pietra si faccia carne; nei miti mortiferi della contemporaneità si mostra il sogno estetico ed opposto che la carne si faccia dura, insensibile e morta come pietra.

Nel disprezzo per gli obesi si cela l'orrore per la loro rozzezza: divorano voracemente cibo, e non sanno essere all'altezza di una civiltà che impone di divorare emozioni. Meriterebbero maggiore indulgenza: ciascuno ha diritto alla forma della disperazione di cui è capace.

"A chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha": così si legge nel Vangelo. Qualunque sia il significato di queste parole, esse esprimono assai bene anche l'irresistibile signoria del principio della forma sull'uomo. E' la forma del tutto che, come luce buona o cattiva, rende visibile ogni cosa. Per questo non mutiamo mai le nostre valutazioni per approssimazione graduale, ma per repentina conversione, cioè mutamento di forma. Per questo, anche, possiamo pensare solo in astratto che le cose potrebbero apparirci in una diversa luce, ma non le possiamo percepire se non nella luce della forma che assumono ai nostri occhi. Per questo, infine, dire "non generalizziamo" significa proporre un imperativo impossibile, perché l'intelligenza è una macchina per produrre generalizzazioni.

La definizione di salute mentale è un paradosso logico, perché dovrebbe conciliare tre elementi contraddittori, il benessere psichico, la rappresentazione oggettiva della realtà e l’integrazione sociale. Di un individuo in cui i tre elementi potessero convivere si dovrebbe dire, come i Greci, che è un “uomo divino”.

Nella lunga marcia di allontanamento dalla realtà la definizione di malattia mentale non fa più riferimento alla "normalità", ma all'"accettabilità sociale". Se questo sia un progredire verso la civiltà o la barbarie, solo la realtà potrà mostrarlo.

La malattia ha una saggezza che la salute non conosce, ma anche la salute conosce una saggezza ignota alla malattia.

Il pensiero della morte era un tempo considerato sicuro indice di saggezza; oggi non se ne vuole sapere più nulla, e si parla dei morti come di persone che per qualche motivo si sono momentaneamente assentate.

Cresce quasi esponenzialmente il controllo dell’uomo sulla natura, mentre, beffardamente, non cresce o addirittura, rispetto alla saggezza antica, diminuisce il controllo dell’uomo su se stesso; a quanto potere sui processi della natura si rinuncerebbe in cambio del solo potere sulla nostra memoria!

Non sarebbe così facile uccidere gli uomini se solo fossero un po' meno attaccati alla vita.

Mai dire mai e, soprattutto, mai dire ormai.

Non c'è nulla di più comico della comicità involontaria.

Ci sono persone che riescono ad offendere anche quando intendono formulare complimenti.

Profonda felicità o fastidio nascono dall'incontrare qualcuno che davvero ci somiglia: solo allora infatti possiamo scoprire quanto o quanto poco bene ci vogliamo.

Sei adulto quando puoi accettare che non vi si per te indulgenza.

La più grande benedizione per i genitori è la concordia dei figli.

Excusatio non petita, accusatio manifesta: una scusa non chiesta è ammissione di colpevolezza, dicevano i latini. In realtà i veri colpevoli, cioè quelli seri, sono ben lungi dal cercare giustificazioni, perché non solo non ammettono la propria colpa di fronte agli altri, ma neppure di fronte a se stessi.

La lotta senza quartiere scatenata oggi all'umor nero dovrebbe tener presente che l'allegria può aprire le porte alle peggiori nefandzze. Si racconta di Cristo che abbia pianto, mai che abbia riso.

Vi fu un tempo nel quale la satira fustigava i costumi; oggi è diventata costume imperante, il costume di non prendere nulla davvero sul serio.

Viviamo i nostri dolori più pofondi come assoluti ai quali incatenare l'intero universo.

Due sono le grandi stagioni nella vita dell'uomo. La prima riposa nella luce meridiana dell'"ancora": ancora verrà questa corsa su un prato, ancora questa sera d'estate, ancora questo sentimento potente... La seconda si rannicchia nella livida luce del "non ancora": verrà la decadenza, verrà la malattia, verrà la morte, ma non ancora.

Si dice che i vecchi tornino bambini; in realtà, per risarcirsi della catastrofe incombente, sempre meno trattengono il tiranno infante che accompagna l'intera nostra esistenza.

Sei bambino se dici "io voglio", adolescente se dici "che schifo", vecchio se dici "si tira avanti"; sei adulto se non dici quello che davvero pensi.

L’atroce bivio dell’età senile consiste nel perdere del tutto o nel conquistare nella luce più luminosa dignità e rispetto di sé.

I matematici hanno il raro privilegio di non essere mai delusi dalla (loro) realtà.

Di buone intenzioni è lastricata la via che conduce alla popolarità.

Vi è un riso che ci solleva dalla grevità del prendersi sul serio ed un riso che esprime la fosca tragedia di chi si sente onnipotente. Niente di più distante si potrebbe immaginare.

Il sorriso solleva l’animo dalla tetraggine, ma solleva anche l’infamia dalla sua colpa.

La complessità della condizione umana viene straordinariamente semplificata in presenza di un interesse.

Il silenzio, molto più delle lacrime, misura il dolore.

Una luce rivelatrice sulla condizione umana verrebbe gettata dalla risposta alla domanda: perché ciò che sopportiamo meno di ogni altra cosa è essere tenuti all'oscuro di qualcosa? Perché non possiamo pensare di essere felci senza sapere?

Vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo è aver già preso congedo dalla vita.

Un tempo si considerava la contemplazione della morte come fonte di saggezza e serenità: oggi sarebbe solo cattivo gusto e fissazione nevrotica.

Nel riso ci prendiamo la libertà di dire quanto pensiamo veramente, negando ipocritamente di pensarlo veramente.

Nel proverbio "cuor contento il ciel l'aiuta" si celebra la tirannide dell'allegria sulla mestizia.

Che "tristi" sia plurale di "triste" ma anche di "tristo" segnala che l'umor nero è stato sempre avvertito (con miserevole inganno) come porta spalancata sul male.

Il riso abbonda sulla bocca dei forti.

Adirarsi a caldo è sgradevole. Adirarsi a freddo è agghiacciante.

Nell'era digitale cambia radicalmente in concetto di condivisione: non più vivere qualcosa insieme, ma esibire all' sguardo altrui.

L'alterigia, non la bellezza (come invece voleva Platone) è, fra le dimensioni umane, quella che maggiormente si mostra nella sua forma propria ed inconfondibile.

La prepotenza è la più potente ammaliatrice; l'impudenza la segue a breve distanza.

Ogni bellezza ha un risvolto, neanche troppo nascosto, di sfrontatezza.

Ciò che per l’uomo comune è emozione, per l’uomo di potere è ossessione (e per l’uomo di potere malvagio possessione).

Si è vecchi quando ci si stanca troppo presto dell'inverno.

Si è vecchi quando non si viene più biasimati per la propria obesità.

Si dice che il sogno dei genitori sia quello di perpetuare se stessi nei figli, ma questo diventa non di rado un incubo, quando vediamo nei figli, come in uno specchio, le nostre brutture, e siamo schiacciati dal senso di colpa di averle caricate come un peso sulle loro spalle.

Alla fine tutti, come bambini, corriamo nei nostri rifugi nascosti, nella più triste delle solitudini, desiderando come mai abbiamo desiderato che qualcuno ci venga a cercare.

Fra le potenti fantasie che esorcizzano l'orrore senza nome vi è quella della palingenesi, cioè che tutto possa ricominciare, ancora ed ancora. L'impulso alla distruzione è forse legato proprio a ciò: distruggere per poter di nuovo costruire, come nel più infantile dei giochi.

Ciò che all'anziano non si perdona è che si ammali, peggio ancora si ammali gravemente, o addirittura muoia. Per questo la vecchiaia non è tanto malattia per se stessa, come voleva Cicerone, ma per se stessa colpa. Tutto ciò viene nascosto in un collettivo rito apotropaico, perché resti ben visibile il magico incanto della vita che sempre ricomincia.

Nella civiltà greca non mangiare insieme, ma insieme bere è convivialità; la nostra convinzione per cui il pasto sia convivio sarebbe parsa ai Greci barbara.

L'erosione sistematica del senso del pudore è l'indicatore più sensibile della disperazione contemporanea e della disumanità che incombe sulla civiltà: nel pudore risplende, infatti, un bagliore dell'insperabile.

Le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno molti aspetti emancipanti, ma recano con sé anche forme peculiari di schiavitù: non solo quella della dipendenza e del consumo insulso del tempo, ma anche, e soprattutto, la tirannia della maggioranza. Nella dimensione social siamo costantemente esposti all'altrui plauso o riprovazione, e finiamo per considerare ogni nostra espressione sotto questo aspetto. L'onniscente occhio di una folla indistinta si sofferma con spietata insistenza su ciò che esprimiamo. La tirannide della maggioranza, paventata da J. S. Mill, trova qui il suo campo elettivo.

Ciò che si liquida innanzitutto nei campi di concentramento ed in ogni luogo dell'orrore contemporaneo non sono l'umanità e la sua dignità, ma il pudore, che ne è baluardo.

Chi crede alla radicale finitezza dell'uomo ne trae, come sunto di ogni possibile saggezza, l'imperativo a vivere ogni possibile emozione ed esperienza, con la massima intensità. Ma è una deduzione insensata, anche perché il compito di non perdere nulla di quanto la vita ci può riservare non può che rendere la vita una sorta di comica maratona, priva di autentica felicità. Ogni possibilità persa diventa, infatti, un'ombra che grava per sempre sulla qualità del nostro tempo. Alla fine, passiamo la vita a collezionare proprio quei rimpianti dai quali ci proponiamo di rifuggire.

Viste da distanti, tutte le cose appaiono molto più unitarie e coerenti di quanto davvero siano, mentre la vicinanza rivela crepe ed incoerenze. Così è anche per l’anima che, con la vicinanza cui il tempo beffardo ci condanna, mostra sempre più le sue desolanti rughe.

L’aspetto più beffardo della morte è che questa giunge quando hai l’impressione di aver cominciato a capire qualcosa della vita.

Nel suo ritiro non di rado il solitario si difende dal profondo sentimento dell'altro che lo coglie alla sua presenza; sentimento che manca quasi interamente alle persone socievoli.

Siamo riconosciuti come persone là dove possiamo raccontare di un nostro dolore senza ricevere in cambio il racconto di un dolore altrui.

La condizione umana contemporanea è caratterizzata dall’eclisse dell’intimità e del riserbo: tutto dovrebbe poter essere mostrato, osservato, misurato, parlato.

Quando al raccapriccio si sostituisce lo schifo sono aperte le porte della barbarie.

A quanti sono ossessionati dall'idea di un complotto universale bisognerebbe far capire che l'unico vero complotto è quello (inconsapevole) degli imbecilli.

La ludopatia è un sintomo acuto di una malattia più subdola, quella di una civiltà ludocentrica, che esalta come matrice di ogni valore il mettersi in gioco, tradendo il consolidato insegnamento di tutta una civiltà, quella antica, centrato sul concetto di prudenza.

Mettersi in gioco è espressione che esprime un grande valore agli occhi della follia contemporanea, che esalta, dissennatamente, la predisposizione al rischio ed all'avventatezza. Per quanto amiamo pensarci eredi della saggezza greca, in queto l'abbiamo interamente tradita.

Enigma ed inquietudine profonda è la natura ancipite del riso, che rasserena ed umilia, rassicura ed inquieta.

Modernità, postmodernità e moda hanno la medesima radice: trovano la loro consistenza nell’inconsistente fluttuare.

Passiamo la vita a disegnare costellazioni, forme, tipi, per sapere cosa ci si può attendere dalle cose e dagli uomini. La triste saggezza figlia della lunga esperienza mostra che, quanto agli uomini, da ciascuno ci si può aspettare tutto. O quasi.

Il paradosso della condizione dell'infanzia oggi si può esprimere così: ad essa vengono riconosciuti tutti i diritti, tranne quello ad essere se stessa, cioè di non vedersi sbattute in faccia le brutture del mondo degli adulti. Così oggi abbiamo bambini che scimmiottano adulti che scimmiottano bambini: viene meno l'idea forte di ciò che è proprio di ciascuna età, la differenza anagrafica è solo più differenza di stili di consumo.

L'uomo è tanto orgoglioso di quella faccia che ha avuto in sorte in luogo di un più comune muso, da non poter pensare nulla di più terribile che perderla.

Ogni coperta è troppo corta. Così come ogni tagliar corto copre.

Inumano il silenzio, disumana la parola.

Il disgusto, libero di seguire il suo corso, è innanzitutto disgusto del bestiale, poi disgusto dell'arroganza degli uomini che provano disgusto del bestiale, ed ancora disgusto della nostra stessa arroganza nel provare disgusto per gli uomini, infine disgusto del disgusto medesimo.

Se l'uomo è diventato una minaccia per la natura, sono affari suoi (della natura): avrebbe potuto essere un po' più attenta nella sua produzione.

Accanto a uomini che hanno un peso vi sono sempre molti più uomini che sono un peso.

Il denaro è il linguaggio veramente universale, perché nella sua grammatica vale il principio: niente di personale.

Avere potere significa poter definire il proprio sapere come quello davvero rilevante, e la propria ignoranza come irrilevante.

L'enigma del sentimento è ormai dismesso. Troppo impegnativo e composito. L'emozione ne ha preso il posto, con l'avallo della neurobiologica che ne può agevolmente decifrare i codici ormonali.

L'enigma delle gambe di Socrate resta là, intatto, nonostante progressi sorprendenti della neurobiologia. Perché non si alzò e non se ne andò dal carcere, sottraendosi alla morte?

Spesso ci accade di chiedere "Cosa pensi di questo?"; perché ci accade solo di rado di chiedere "Ci pensi a questo?"

Molti frammenti di saggezza possono essere regalati dalla frequentazione della montagna; impari, per esempio, che non ti puoi mai accorgere di scivolare, ma solo di essere scivolato.

Niente richiama maggiormente il caos informe della sessualità: da essa, infatti, possono rendere forma le cose più disparate, venerazione, tenerezza, esaltazione, crudeltà.

Come con la vita, anche con la libertà ci accade di passare il tempo a consumarla: ogni spazio nuovo di libertà è una rinnovata possibilità di recinzione, normativa, deontologia. Un campo è lo spazio vuoto che si frappone fra i paletti che non manchiamo di infiggervi.

Non c’è nulla di disdicevole nel voler perdere o conservare la propria verginità; davvero osceno è invece volersela rifare.

Scriviamo per essere letti, parliamo per essere ascoltati, esistiamo per essere visti.

L’affetto senza una punta di distacco è cieco, il distacco senza una punta di affetto è vuoto.

L’aspetto più inquietante della natura umana è la facilità con la quale si abitua a tutto, o quasi, al sublime tanto quanto all’atroce. La filosofia è quindi del tutto innaturale.

È proprio la sempre più sottile conoscenza scientifica dell’uomo a mostrare quanto poco sia naturale per l’uomo assumere un atteggiamento oggettivo e scientifico verso se stesso e tutto quanto è umano.

L’uomo non è egoista per natura, ma perché l’egoismo è l’unico linguaggio davvero universale che permette a ciascuno di comprendere gli altri e soprattutto di sapere con ragionevole certezza quello che da loro può aspettarsi. La gratuità è un enigma.

Ad ogni età della storia il suo imperativo: “crescete e moltiplicatevi” nell’età premoderna, “arricchitevi” nell’età moderna, “divertitevi” nell’età postmoderna.

L’idealizzazione del bambino non coglie mai nel segno, ma resta vero che straordinaria è in lui l’assenza della memoria cattiva, la capacità di riconciliarsi e ripartire cancellando il rancore, perché io è perso fra le cose. Poi l’io torna a sé, e si perde nella considerazione dell’altro.

Il sonno dei giusti è turbato dal peso soverchiante del male. Il sonno degli operatori di atrocità è profondissimo e senza sogni.

Non è senza importanza la duplicità dei significati del verbo “ignorare”, vale a dire “non sapere” e “non voler considerare”; nel nesso fra questi due significati si esprime molto della natura umana.

L’adattamento ridanciano all’ipocrisia che domina la tonalità media dell’esistere è considerato equilibrio per eccellenza, e chi non riesce a soffocare il fastidio è già sulla soglia della sociopatia.

La triste lezione di Rousseau e Marx è che gli uomini, spesso ribelli alla volontà dell’altro uomo, diventano supini e remissivi quando percepiscono negli eventi la forza (o, che è lo stesso, la logica) delle cose stesse.

La sicurezza è l’onnipresente mito della condizione umana contemporanea: come tutti i miti, ci stacca dalla realtà e nel contempo ha una resa potente sul nostro reale immaginare ed agire.

Terrore è il venir meno del tempo, orrore il venir meno dello spazio.

Quella tecnica che Zeus incatenò nel suo artefice, Prometeo, non perché morisse, ma perché fosse visibile nei suoi vincoli, è oggi scatenata.

Un giorno, e sempre troppo tardi, ci apparirà in tutto il suo orrore l’insensatezza del concetto di malattia mentale.

Per Platone la musica è l’intera educazione, forse anche perché nella costruzione del senso l’accento è fondamentale, nella vita umana il ritmo è un elemento essenziale di intesa o distanza e l’armonica alternanza di pausa e movimento è indice di una profonda saggezza.

Ha carisma colui che può affermare le cose più banali facendole passare per le più profonde.

L’antico adagio “in vino veritas” va aggiornato: “in pecunia veritas”, perché nel rapporto con il denaro l’uomo svela il proprio essere nel profondo.

Non c’è niente di più detestato del primo della classe che non ammicchi complice dissimulando ipocritamene i propri meriti; non c’è niente di più detestabile di questo astio meschino.

Il merito, lodato a parole, è in realtà una delle condizioni più inutili: gli uomini apprezzano molto di più potere, complicità e simpatia, e neppure di fronte a Dio, come la teologia ossessivamente ripete, è consigliabile presentarsi con troppi meriti da vantare.

Viviamo una civiltà ludocentrica, centrata sul gioco inteso non come divertimento, ma come assorbimento totale nell’ “essere in gioco”, nella fluttuazione insensata del divenire. Ogni ossessivo discorso sulla flessibilità rimanda a questa desolante antropologia, a fronte della quale la metafora della società liquida suggerisce ancora un’eccessiva consistenza (meglio sarebbe parlare di vento).

Caro ai Greci è l’apprendere dal dolore, ma il dolore non porta con sé solo una privilegiata esperienza di realtà, ma anche la fuga nella consolazione dell’illusione.

Dal dolore la quiete di una superiore saggezza, ma anche l’inestinguibile odio per un’impossibile rivalsa.

Spesso un dolore è fuga da molti altri dolori, quindi anche un sollievo.

Nel concludere incontriamo la più ardua difficoltà, come ben sanno musicisti e scrittori, perché restiamo legati all’infantile convinzione che la luce della verità debba brillare al termine, riverberandosi sul tutto. Per questo il congedo è il momento più imbarazzante, e la chiusura di un discorso il momento più delicato.

Non vi è nulla di più imbarazzante di sentire l’altro come altro. Per questo è cosa naturalissima salutare quanti incontriamo, ma imbarazzantissima scegliere cosa fare se li incontriamo di nuovo a breve distanza di tempo.

Ciò che ci terrorizza nella morte è la medesima cosa che un tempo consolava, l’immagine, cioè, dell’eterno riposo.

Oggi è lecito vergognarsi solo della propria vergogna.

Se la vita è un gioco, il suo scopo è di scoprirne le regole.

Esistono pseudonimi e pseudouomini.

L'età senile reca con sé una sorta di ultima chiarezza riguardo allo spirito: o lo si cerca con struggente nostalgia o lo si ripudia con viscerale avversione.

Elaborazione del lutto è un concetto osceno: il lutto non è qualcosa da metabolizzare, ma da conservare come preziosa risorsa che tiene accesa la fiammella della nostra umanità.

Uno la meditazione, due l’amore, tre l’inferno.

Natura abhorret vacuo, la natura ha orrore del vuoto: questo è sicuramente vero nella comunicazione.

Non vi è persona tanto umile da non considerare la sua umiltà qualcosa di semplicemente grandioso.

La contemporaneità è un cammino di allontanamento: la filosofia prende congedo dai fondamenti, la poesia da metri e rime, la musica dalla tonalità. Un congedo che è insieme liberazione e smarrimento.

La solitudine è l’unico sollievo di chi avverte in tutta la sua vividezza l’umanità degli altri.

L’uomo che plaude ed inneggia schiude le porte all’abisso.

Il tempo è galantuomo, ma anche cialtrone.

Il vero amico si vede nel momento del bisogno, del suo bisogno, perché non te lo fa pesare.

Nell’autentica miseria ci si sazia anche di parole.

Finché c’è vita c’è probabilità.

Gli allarmi per l’avvento di nuove forme di paganesimo sono del tutto fuori luogo: la cultura pagana viveva di un profondissimo senso del limite.

L'uomo non è per natura un combattente; una poderosa architettura culturale ha dovuto essere costruita perché potesse affrontare in combattimento la morte.

Il senno di poi non differisce dal senno del prima, se non per la funzione di assolvere a buon mercato dissennati e presuntuosi.

Nessuno accetta di sentirsi dare dello stupido o dell’infelice; su tutto il resto, si può discutere.

Le principali radici del valore, nella cultura occidentale, cioè lealtà e coraggio, sono strettamente funzionali al valore bellico; se fosse possibile una civiltà che davvero ripudia la guerra, cercherebbe altrove i valori più profondi.

Sillogismo: il cane è il migliore amico dell’uomo, il cane detesta il viandante, dunque il viandante non è un uomo.

Il dono è ormai ridotto a rituale stanco, che si fa per convenzione molto più che per convinzione.

L'osceno ha la sua forma più propria nell'impudente sguardo rivolto alla coscienza altrui e nel disgustoso desiderio di colonizzarla.

Nella pornografia e nella tortura si rappresenta il sogno osceno del possesso totale dell'altro, ma, anche, il suo disperato fallimento, perché, alla fin fine, in entrambi i casi quel che si squaderna non è l'altro, ma solo la sua anatomia e le sue grida.

La sessuologia trova la sua ragion d'essere non tanto nella crisi del desiderio, quanto nella crisi del senso del ridicolo.

La sessualità è la perfetta assenza di forma: si attaglia quindi all’amore sublime tanto quanto all’atroce annullamento dell’altrui umanità.

Nella violenza sessuale, soprattutto sui minori, non c’è niente di propriamente sessuale, ma viene realizzato il più osceno progetto di lacerazione dell’anima di una persona.

Nel significato antico "provocazione" significava appello al confronto, sfida a farsi avanti sul terreno di una contesa; oggi significa offesa gratuita.

Fortuna e sventura si presenano spesso sotto le mentite spoglie l'una dell'altra.

Il potere dell'apparenza domina incondizionato. Ci colpisce il dolore delle lacrime, come se il dolore senza lacrime non fosse mille volte più atroce.

Nel'evitare lo sguardo dell'altro ci trattiene non solo la paura di essere scoperti, ma anche quella di scoprire. Ma buona parte degli uomini è del tutto immune da questo, perché vede solo occhi.

Il vero culto dei morti in guerra dovrebbe ricordare non ciò che hanno fatto, ma ciò che sono stati. Ma questo sarebbe agghiacciante.

Viene talora sollevata la questione se la nostra sia una cultura di vita o di morte. Né l'una né l'altra cosa, probabilmente, piuttosto una cultura della contesa, della lotta, non più temperata dal profondo senso del limite della civiltà greca. Così stigmatizziamo ed anche vietiamo tutti i comportamenti che mettano a rischio la propria vita, ma li tolleriamo se sono la condizione per una qualche sfida rivolta ai propri limiti o ai limiti dell'umanità. Al motociclista va l'obbligo del casco, al solitario che si arrischia in imprese temerarie l'universale ammirazione.

Nella nostra presunzione ignorante consideriamo summa dell'ignoranza il Medio Evo, che fu un delle età più cerebrali della storia dell'Occidente.

Smisi di dubitare della teoria freudiana dei lapsus quando un alunno che voleva scrivere "spesso e volentieri" dimenticò la "p".

La più puerile fra le illusioni puerili è credere che una miriade di piccole sicurezze ne facciano una grande.

La sicurezza è diventata un mito rassicurante grande tanto quanto il business che esso alimenta e da cui è alimentato. In realtà di nulla siamo davvero sicuri, se non dell'infantile bisogno che ci porta a raccogliere in una scatola magica le nostre mille piccole sicurezze.

Tutto ciò che può sentire si può anche risentire.

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