Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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CREDERE E NON CREDERE

Visita anche il sito di Andreas W. Tauber, Theological Investigator, se sei interessato a queste tematiche

Il mistero del Dio fatto uomo trasfigura l'abisso più profondo del male, il sacrificio. Nel sacrificio il debole viene soppresso in servile omaggio alla Potenza. Con il suo sacrificio, Dio dice: quel debole sono io, quella potenza sono io.

Un Dio che parla e non scrive ripone un'immensa fiducia nelle sue creature.

Il modo in cui si immagina il giudizio divino definisce il diverso modo di essere credenti. C’è chi non può credere che Dio, essendo padre buono, davvero giudichi e chi, all’opposto, è terrorizzato dal giudizio di un Dio capace di scorgere l’atomo opaco del male anche dietro la coscienza più netta. C’è chi è convinto di potersi accattivare la benevolenza divina con la propria seduttività e chi crede che la condanna possa venire da noi stessi, più che da Dio. C’è chi confida nella ricca dote di attenuanti di cui si ritiene portatore e chi non sa davvero cosa aspettarsi, come per ogni altro aspetto, di fronte al misero dei misteri. C’è chi confida in ottimi avvocati e chi teme di finire nelle mani dell’avvocato del diavolo. C’è chi preferirebbe il più duro dei giudizi all’alito gelido del nulla e chi è terrorizzato dall’idea di un supplizio senza fine. In definitiva, questa è la domanda più ricorrente che accompagna credenti e non credenti.

I profeti della secolarizzazione e della crisi del sacro trovano sempre maggiori smentite in un mondo nel quale fedi antiche e nuove, lungi dal ricevere colpi mortali dalla scienza, rivaleggiano con giovanile baldanza. L'unica fede che sembra aver ricevuto un colpo mortale è quella nella verità (nel potere liberante della verità).

La vita è dono, la libertà più che dono. Come per ogni dono, possiamo disfarci della vita. Non della libertà, che è tutt'uno con il nostro essere spirito. Non siamo liberi di non essere liberi, cioè di non essere spirito.

Dio ci ha fatto uomini, cioè liberi, e noi non perdiamo occasione per rinfacciargli liberamente questa libertà.

Che Gesù sia il sacrificio perfetto gradito al Padre significa che fra uomini e Dio non vi può essere transazione, commercio, offerta, sacrificio, appunto, perché solo Dio può offrire Sè a Se stesso. Dio non si aspetta che diamo a Lui qualcosa, ma aspetta che andiamo a Lui.

Solo a Dio si addice il singolare.

La fede è, in primo luogo, fede negli uomini, in coloro che testimoniarono la risurrezione, ed in noi stessi, nel nostro cuore.

Non ci si dovrebbe mai stancare di riflettere sulla differenza fra cristianesimo e cristianità.

La parola di Dio è nella sua essenza fiducia, perché è interamente consegnata alla memoria degli uomini, cioè al loro cuore.

Un modo abbastanza sicuro per evitare l'inferno sovrannaturale è evitare agli altri il peso dei nostri inferni quotidiani.

La fede diventa canina quando si abbarbica all'idea che ler persone debbano essere annusate ed il territorio difeso.

Forse nel giudizio ultimo saremo noi a voler giudicare Dio, e con lui noi stessi.

Sta tramontando il tempo in cui la religione veniva convepita come vincolo essenziale a fondamento di ogni comunità umana. Ed è una profonda liberazione per la religione, che resta intatta nel suo valore essenziale di unico conforto di fronte all'insostenibile nullità del nulla.

Anche la fede ha il suo immaginario, millenario, espresso dall'arte e dal senso comune. La più deforme mostruosità di questo immaginario è la rappresentazione del male come mostruoso e deforme. Ciò conferisce alla bruttezza un profondo stigma morale, senza che ciò abbia il benché minimo fondamento evangelico. Le conseguenze di questo immaginario deforme sono difficilmente immaginabili.

I credenti usano quasi sempre l'espressione "quel che Dio vuole", dimenticando che esiste anche ciò che Dio consente, senza volerlo.

Quando si parla di crisi della religione viene in mente il calo di quanti praticano o credono. Ma c'è un'altra crisi, più potente ma non necessariamente negativa per la fede, anzi, secondo l'etimo greco di krisis, occasione per una svolta rigenerante. Il potere ha sempre meno bisogno dei sacerdoti dell'Assoluto, e sempre più si serve dei sacerdoti della mente. I primi possono, finalmente, diventare davvero liberi di essere non solo sacerdoti, ma anche testimoni dell'Assoluto.

Non possiamo neppure lontanamente concepire quale sia il valore della libertà, se per essa Dio accetta che nel mondo si insedi il più profondo orrore.

Aristotele osservava che nessuno crede veramente alla propria morte; per analogia si potrebbe dire che nessun credente crede veramente alla propria dannazione.

Non ci stanchiamo di ringraziare Dio del dono della vita, dimenticando però che riceve questo dono anche un filo d'erba. Il dono riservato all'uomo è la libertà, dono da usare, non da riporre nel soprammobile della riverenza.

La nuova fede nel nulla avanza a grandi passi. Nessun culto, innumerevoli divinità: ogni realtà, seppur minima, tutto quanto sfugge al nulla è divino, viene onorato con il nome di istante.

Molti sono atei per scaramanzia o credenti per teatralità.

L'aspetto blasfemo dell'alleanza fra trono ed altare (tutt'altro che consegnata ai recessi della storia) è che il clero si sente investito di una dignità regale ed i governanti di una dignità sacra.

Non è senza eredi il tramonto della religione rivelata come potenza di questo mondo. Subentra con autorevolezza il nuovo clero dei sacerdoti della mente, ugualmente geloso della sua separatezza rispetto al laicato del senso comune, ugualmente austero e severo, ugualmente forte della sua verità consegnata ai testi della scienza, ugualmente scisso in confessioni l'una contro l'altra armate ed intolleranti, ugualmente prodigo di promesse di salvezza, una salvezza in tono minore, ma pur sempre l'unica salvezza nell'orizzonte del finito, quella dell'equilibrio della mente.

Essere davvero credenti significa essere innanzitutto credibili.

Il seme della Parola di Dio attecchisce solo in un terreno buono, mentre il seme dell'odio attecchisce in ogni terreno.

Il singolo uomo può essere redento, non l'umanità.

Lo spirito vive nella dimensione della nebbia, dove lo sguardo si smarrisce, l'orecchio si tende.

Se la fede è liberazione, è perché la venerazione di Dio ci libera dai pericoli della venerazione di idee e uomini.

A tutti coloro che guardano con fastidio alle religioni bisognerebbe far osservare che alla venerazione in un Dio si sostituisce quella nelle idee o negli uomini, e questa è assai peggiore di quella.

Fare di Gesù un rivoluzionario è senza senso (almeno senza senso religioso); ma che la Chiesa sia quasi sempre stata nella storia un'istituzione corriva con il potere ben poco si concilia (se non tradisce) lo spirito evangelico.

La parola umana passa quasi inosservata senza enfasi; la parola divina è giunta fino a noi nonostante l'assoluta mancanza di enfasi (non è giunta per via diretta, ma per via di testimoni, nella distanza di millenni).

Veri eredi dell'arroganza e della presunzione sacerdotale sono i sacerdoti delle scienze della mente.

Si potrebbe definire provvidenzialismo la cderenza che nulla accada senza che Dio lo voglia. Il che rappresenta un'iperbole della fede nella provvidenza, non priva di conseguenze negative. Due, innanzitutto, evidenti in secoli di storia della fede: l'interpretazione della sofferenza fisica non come dimensione contro cui combattere senza quartiere con le armi del sapere, ma come dimensione da accettare nella sua valenza di purificazione; l'acquiescenza rispetto ad ogni forma di potere, purché non leda la libertà della fede e non sia clamorosamente sanguinario, partendo dalla convinzione che anche ogni potere costituito si insedi nella storia per volontà di Dio.

Ci sono due modalità fondamentali del credere: credere ignorando tutto ciò che potrebbe mettere in crisi la nostra fede e credere prestando attenzione a tutto ciò che potrebbe mettere in crisi la nostra fede.

Accanto ad un ateismo teorico ne esiste uno esistenziale, che consiste nel radicarsi nella mondanità, nei beni e nella fama. La corrispondenza fra le due dimensioni dell'ateismo è scarsa.

Difficile gettare uno sguardo nell'abisso della libertà di cui Dio volle dotare l'uomo. Basti pensare che lo ha lasciato libero perfino di scegliere, nei meandri della propria memoria, quali fra le moltissime parole del Cristo dovessero essere consegnate ai credenti di ogni generazione come Parola di Dio.

L'uomo non teme di presentarsi di fronte a Dio, ma di presentarsi di fronte a lui da solo.

Di fronte al problema della spiegazione di come si concilino bontà divina ed esistenza del male e della sofferenza si è preferito percorrere i sentieri della punizione e della purificazione, piuttosto che quello, più difficile, della libertà umana. Sentieri che però portano poco lontano.

Divino è lo sguardo che non ferisce.

Il Cristianesimo è il primo radicale rifiuto della crudeltà della natura, del divino, della vita stessa. Tutto ciò che riusciamo a pensare come civiltà si basa oggi su questo rifiuto.

Il Vangelo è parola di Nostro Signore Gesù Cristo, ma non tutta la parola di Nostro Signore Gesù Cristo. Tutto quanto egli disse e non è sato scritto è altrettanto parola sua. Non è insignificante ricordarlo.

Il cuore rescinde di netto ogni dilemma teologico: quando non si sa bene cosa dire, si dice, Vangelo alla mano, che è tutta una questione di cuore. Il che è vero, ma bisognerebbe aggiungere che il cuore evangelico è probabilmente qualcosa di un po' più serio del cuore che oggi va per la maggiore.

La fede, per quanto cieca, ci deve almeno sentire bene.

Quante volte deve ricordare a se stesso di essere un uomo chi è solito parlare in nome di Dio?

La scelta operata dalla Chiesa di lasciare che i suoi scandali interni restino nascosti ha portato alla conseguenza indesiderata che tutto quanto resta nascosto finisca per essere sospettato di scandalo.

Quando parleremo, davanti a Dio, si farà un grande silenzio. Ogni nostra parola sarà ascoltata, come mai prima.

Possiamo avere molteplici motivi di risentimento verso i sacerdoti, ma se consideriamo che debbono conservare la fiducia nella natura umana nonostante ascoltino in confessione il più ampio repertorio di bassezze ed abominii, allora non possiamo non essere molto indulgenti verso di loro.

Non la scienza della natura, ma la scienza della natura umana si pone oggi come fortissima sfida alla fede.

Nel vangelo troviamo un annuncio terrificante: il Dio venuto fra gli uomini è stato seviziato ed ucciso dagli uomini; ed insieme un lieto annuncio: ciò non ha attirato sul capo degli uomini infamia e condanna, ma salvezza.

Sorprende la varietà dei motivi per ci ci pentiamo: ci si può pentire anche per noia, vezzo e scaramanzia, oltre che, ovviamente, per opportunità.

Vi furono i secoli dell'rrisione verso Dio. Oggi prevale un profondo risentimento verso di lui: la profonda angoscia del nulla alimenta questa sottile malevolenza, per cui non si perdona a Dio di non dare chiari segni di sé.

Non per il semplice amare siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio, perché allora anche dei cani dovremmo dire lo stesso, ma per l'amare libero e consapevole.

Non si muove foglia che Dio non voglia, così vuole una radicata religiosità popolare (e non solo). Affermazione piuttosto rischiosa, che attira a Dio il risentimento dell'uomo piagato dal dolore e dalla malvagità. Bisognerebbe dire piuttosto che Dio ha voluto un mondo in cui le foglie si muovono al muoversi del vento e gli uomini sono liberi di crocifiggere altri uomini e Dio stesso. Volendo questo, accetta tutto quel che ne consegue. Ma non possiamo accusarlo delle conseguenze del bene maggiore che ci ha donato, lo spirito, la libertà. Se tutto fosse effetto della sua puntuale volontà, saremmo puri burattini alla mercè di scelte imperscutabili. Ma non si può essere tanto ignobili da mettere sul conto di Dio tutto quanto va sul conto della libertà umana.

Se la chiesa si fa conventicola e corporazione, rinuncia ad essere ciò che maggiormente deve essere, segno di contraddizione. Si fa cosa umana fra cose umane.

Sentirsi totalmente amati non può che farci sentire lusingati nel profondo, soprattutto se ad amarci è Dio. Ma questa lusinga è il germe della più profonda sciatteria sentimentale.

Associamo sempre a Dio la sua parola. Raramente il suo ascolto.

Che ne sarà della fede se da un universo denso di segni della trascendenza sembra siamo passati ad un universo zeppo di segnali che danno un qualche ordine all'incessante movimento nella finitudine?

Di quel tale arcivescovo tedesco che al tempo del Nazismo assunse come motto "etsi omnes, ego non" (anche se tutti [facessero qualcosa di ingiusto], io non [lo farei]) ho voluto dimenticare perfino il nome, per non sapere nulla che potesse anche solo scalfire la sua figura, che giganteggia nella fede e nell'umanità.

Se Dio ha concesso all'uomo la libertà a prezzo di quanto più atroce si possa immaginare, è perché nella libertà vi deve essere qualcosa di incommensurabilmente prezioso, e l'amore più profondo consiste nel rendere gli altri più liberi.

Un uomo di fede non presterà mai abbastanza attenzione all'infinita distanza che intercorre fra voler essere come Dio e voler essere Dio.

Profonda consolazione della fede è sentiersi sempre sotto lo sguardo di Dio, che annulla come luce immesa ogni altro sguardo.

La Chiesa identificò come prima minaccia l'eresia, la deviazione dalla definizione teologica della verità. Poi si affacciò il nemico dell'ateismo, e di seguito quello ancor peggiore dell'indifferentismo religioso. Ora sembra che il nemico da temere più di tutti sia quello che allunga sulla divinità l'ombra della malignità.

Il clericalismo poggia su tre assunti fondamentali:
fra credenti e non credenti è posto un abisso che si può scavalcare, ma non colmare;
il popolo dei credenti si deve stringere attorno ai pastori tanto più quanto più feroce è la minaccia dei lupi che lo assediano;
ogni riserva o critica a persone o a singoli punti della dottrina è un attacco a tutta la Chiesa ed all'intero suo patrimonio di fede.

Nel parlare con Dio gli evitiamo perlopiù l'imbarazzo di doverci rispondere.

Nessun uomo può avere due anime; ciascuna chiesa le ha. L'anima identitaria ed intransigente, che si fa scudo della malinterpretata frase evangelica "Chi non è con me, è contro di me", e l'anima misericordiosa di chi si fa forza dello spirito di tutto quanto nel Vangelo possiamo leggere.

Ho sempre pensato che Gesù abbia garantito la sua presenza quando due o più si sarebbero riuniti nel suo nome per ammonirci che quando due o più si non si sarebbero riuniti nel suo nome, lo avrebbero fatto nel nome del suo avversario. In altre parole: l'uomo singolo è poca cosa nel bene e nel male, l'uomo con altri diventa buono o cattivo sul serio.

I gradini della discesa nell'abisso della blasfemia: maledire Dio per ciò che fa o non fa a noi, maledire Dio per ciò che fa o non fa all'umanità, benedire Dio per ciò che pensiamo debba aver detto, benedire Dio per ciò che pensiamo debba aver fatto per noi.

I Vangeli sono testi per i quali la gente professa il massimo rispetto. Sono altresì i testi meno presi sul serio.

Di alcuni credenti spaventa il difetto di coerenza, di altri l'eccesso.

Fra le bizzarrie della condizione umana va ascritto il potere immane che su di essa ha la più debole fra le realtà, quella che realtà non è affatto, il nulla: quando gli uomini ne hanno sentore, vanno in fibrillazione, si agitano come formiche, sono presi dalla smania di riempire il proprio tempo finito. Divinità da nulla, il nulla agita l'uomo più di ogni altra divinità.

Credere per capire e capire per credere, secondo S. Agostino, sintetizza il senso di un'indissolubile alleanza fra fede e ragione. Oggi queste due dimensioni vivono in regime di separazione consensuale, nei termini di un civile accordo fra ex innamorati.

Le parole del Cristo "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa" sono confortanti per quel che egli dice, ma anche angoscianti per quel che non dice: "...non prevarranno in essa".

C'è chi si foggia un Dio su misura, chi su dismisura.

Avvertiamo sincerità nel pentimento quando si accompagna con autentico dolore, che però spesso è dolore per il nostro ego ferito.

Cieca quella fede che presume di poter saltar oltre le categorie dell'umano, a partire dalla buona educazione.

Le virtù teologali, fede, speranza e carità non lasciano spazio alla verità. Strana sorte, in una religione interamente fondata sulla veridicità dei testimoni della resurrezione.

Un tempo silenzio voleva dire mistero ed autorevolezza, e ciò valeva in massimo grado per il silenzio di Dio. Oggi silenzio vale inesistenza, e questo non è senza conseguenze per la crisi della fede.

Ciò che davvero, nella cultura contemporanea, lavora contro la credibilità della fede è il principio sempre più imperante della disgregazione del senso della parola nel vorticoso gioco delle interpretazioni, principio che relega l'integrità del senso originario in una lontananza infinità. E se questo è, allora la fede può diventare struggente nostalgia di questa integrità.

L'esperienza di Dio è, fra tutte, la più singolare. Chi avverte una tiepida fede la immagina come un possesso modesto ma sicuro, ed è certo che Dio se ne stia dietro una porta vicino alla propria dimora, alla quale, in virtù di questo lasciapassare, potrà facilmente e con felice esito bussare quanto sarà necessario. Chi si sente immerso nell'esperienza divina vive il profondissimo smarrimento di vedere la luce che si fa buio ed il buio che si fa luce.

Credibilità, prima ancora che amore, è ciò che un pastore deve al suo gregge.

Non bisognerebbe sorvolare a cuor leggero sull'aspetto terribile del Cristianesimo, unica religione che annuncia un Dio-uomo venuto fra gli uomini e sottoposto ad atroci tormenti fino alla morte. Una religione che costringe l'uomo a guardare al suo volto più oscuro e deicida, perché quando e dove Dio sia stato brutalizzato non è rilevante. Rimuovere questa vergogna è la radice dell'antisemitismo, che nasce dalla convinzione che non l'uomo per sé sia deicida, ma l'umanità degradata di un popolo degenere.

L'elogio della semplicità è cristianamente insensato. L'affermazione filosofica del pincipio di semplicità, o rasoio di Occam, per cui le spiegazioni più semplici sono le più vere, rappresenta la porta di accesso non solo alla scienza, ma anche all'ateismo che abita la nostra contemporaneità. Perché se nessuna voce ci viene dal mondo dei morti o da Dio, vale che sia vera la cosa più semplice, che non esistono. Di più: il Vangelo non è un testo che lasci trasparire un senso univoco ad una lettura semplice. I suoi tasselli non si lasciano così facilmente comporre in un disegno d'insieme. Bisogna poter sopportare un cammino dentro le molteplici domande della complessità per poter credere e per poter credere di poter vedere un senso unitario nella Parola di Dio.

C'è chi pensa che si possa vendere l'anima al diavolo per una causa buona (cioè contro il diavolo). Il che è un diabolico paradosso.

Si dice che la più geniale astuzia del diavolo sia far credere che non esiste, ma astuzia più profonda è far credere che si trovi solo fuori di noi.

L'invenzione del divino è servita per realizzare la massima distanza fra gli uomini che si sono posti nella sua prossimità e gli altri. Poi Dio ha rivelato la sua infinità ed infinita distanza, di fronte alla quale ciascun uomo è ugalmente distante da lui, ma gli uomini non l'hanno ascoltato.

Non ha senso chiedersi, in generale, se la scienza nuoccia o meno alla fede. Alcune scienze promettono di diventare grandi amiche della fede, prima fra tutte la fisica, che demolendo l'asslutezza del tempo apre le porte teoriche a dimensioni che non sono nel tempo. Diverso il discorso per la biologia: la vita può essere vista come meraviglioso miracolo, ma guardata con sguardo attento rivela un campionario di orrori che l'immaginazione a fatica insegue.

Destino è categoria pagana, destinazione cristiana.

Il peccato originale ci fa avvertire lo sguardo dell'altro come ferita. Cioè ci fa avvertire la nudità che siamo.

Gesù chiede di farsi piccoli per recuperare la fede infantile nell'indissolubile alleanza fra parole ed azioni.

Più elevato è il concetto di Dio, più basso si fa quello dell'uomo: se, infatti, la misericordia tenace dell'onnipotente non riesce ad avere ragione della malvagità dell'uomo, che cosa si deve pensare i questa malvagità?

Parliamo volentieri della beatitudine di Dio, dimenticando che il suo dolore non si è interamente consumato sulla croce, perché l'amore che non riesce a strappare l'uomo dall'abisso è inconsolabile dolore. Di un Dio beato e misericordioso sappiamo; di un Dio dolente ignoriamo.

Dio non firma deleghe in bianco. Non firma nessuna delega.

Salvare la faccia e salvare l'anima sono cose che si escludono.

Nel Cristianesimo viene alla luce la più abissale delle concezioni del potere dell'uomo sull'uomo, il potere di decretare il destino di un uomo per l'eternità.

Quanta capacità di mentire a sé e di sé occorre per dirsi con sicurezza credenti o atei?

Nel parlare di Dio non pochi confondono il genitivo oggettivo con quello soggettivo.

Si dovrebbe evitare di parlare genericamente dell'amore divino, perché è del tutto particolare. Non siamo amati come cani, e ci viene data quella libertà che tragicamente possiamo convertire nelle più abissali atrocità. Questo divrebbe insegnarci qualcosa su cosa significhi, non genericamente, amare, e su quale valore della rivestire, per noi, l'altrui libertà.

Credere nella profonda solidarietà di parole e cose è tornare bambini; credere nella profonda solidarietà di parole e azioni è l'evangelico diventare bambini.

Ogni domanda è da Dio, ma non lo è ogni risposta.

La Chiesa ha promosso nel mondo civiltà e pietà, ma porta fin dalle origini le stigmate dell'opportunismo, e non come segno della sua santità.

Il credente crede contro ogni evidenza, l'ateo crede contro ogni speranza.

Non c'è fede senza un po' d misticismo, né misticismo senza spaesamento.

Non ci pare mai abbastanza la cenere da cospargere sul capo degli altri.

Quando ci viene detto che bisogna pensare come Dio rischiamo di finire per pensarci come Dio.

La speranza in una vita oltre la morte è fra le più ragionevoli, considerato che nessuno potrà mai vivere la sua delusione.

Non da singoli vengono gli autentici scandali per la fede, ma dalle comunità, e soprattutto da quelle che nascondono gli scandali dei singoli.

Cristo ha assunto su di sé il dolore umano, ma non tutto il dolore e forse non il dolore più atroce: egli infatti poté sempre sentirsi amato dal Padre.

Dio non è lento all'ira, ne è incapace: sopporta che lo diffamiamo, che ne facciamo caricature e che commettiamo ogni sorta di nefandezza in suo nome.

A voler considerare davvero quanta considerazione Dio abbia dell'uomo e della sua libertà, si capirebbe che la superbia umana non è priva delle sue buone ragioni.

Wittgenstein ebbe a dire che il problema della vita oltre la morte non se se essa ci sia, ma qual problema essa risolva. Ma non è un problema da poco che non è questo che noi avvertiamo come problema.

Nessun singolo può dare veramente scandalo. Un'intera comunità che tace per timore dello scandalo dà invece potente scandalo.

Bisognerebbe soffermarsi almeno un po' sul pensiero che nella religione cattolica ad uomini è affidato il massimo potere pensabile, sciogliere e legare in terra per il cielo, cioè decidere della felicità eterna o dell'eterna dannazione di una persona. Difficile dire cosa ciò voglia dire.

Nel cammino che ci allontana dalla medietà quotidiana ogni paradiso richiama molti inferni ed ogni inferno molti paradisi. Per questo nella mistica non vi è luce che non possa convertirsi in tenebre, e viceversa.

Ciò che davvero scandalizza negli scandali è quanto viene fatto per tenerli nascosti.

Nel lessico religioso "smarrito" vale "peccatore". In realtà il vero smarrimento non è il peccato, ma il senso del peccato, che getta il core nel più profondo disorientamento, nel quale la voce di Dio diventa più udibile.

Grazia è o sguardo di Dio che ci toglie la memoria di quello degli uomini.

Secondo Kierkegaard l'eclisse della fede coincide con lo smarrimento del senso della colpa, per cui se siamo colpevoli di fronte a Dio, lo siamo infinitamente. Oggi la notte ne ha fatta di strada. L'oscurità è così densa che ci si accontenterebbe di una fede che non avesse smarrito il puro e semplice senso della decenza.

Temere e coprire gli scandali perché dannosi alla fede significa non credere in una fede maggiorenne. Cioè, non credere.

Ciò che scandalizza nello scandalo non è il comportamento ignobile degli uomini, che è sempre possibile, ma il riflesso condizionato di copertura e di arroccamento, quasi che la denuncia dello scandalo sia essa stessa attacco alla Chiesa intera e quasi che il male sia più fuori che dentro la Chiesa stessa.

La modernità annuncia il suo distacco dalla tutela teologica con il progetto di organizzare la dimensione umana "sicuti Deus non daretur". La post-modernità dovrà misurarsi con il progetto di costruire un senso del vivere "sicuti nihil non daretur".

L'attaccamento alle cose ed al loro astratto precipitato, il denaro, è, propriamente, la disperazione, e la disperazione, non l'incredulità, è, propriamente, il contrario della fede.

Diabolico è saper trarre dagli altri il peggio di sé (di sé e degli altri).

Mistico è sentire che non esistono realtà più o meno belle, ma bellezze più o meno difficili da cogliere.

Diabolico è voler predare l'altrui interiorità (il diavolo è un cacciatore di anime).

Diabolica è la demolizione del pudore.

Sottile è l'abisso fra fede e non fede.

Un giorno qualcuno sceglierà e ci imporrà ciò che è bene per noi. Quel giorno nessun inferno ci farà più paura, perché già lo scontiamo. Quel giorno capiremo anche l'immensità di un Dio che ci lascia camminare sulle strade che abbiamo scelto.

Tanto poco verisimile quanto diffusa è l'immagine di Dio che, come una maestra che ha la necessità di assentarsi per un po', nomina alcuni capiclasse con il compito di segnare su una lavagna buoni e cattivi, per poi regolarsi sul loro giudizio al ritorno.

La fede non è l'antitesi del dubbio, anzi, di questo si alimenta, perché se davvero crediamo di avere di fronte la Parola di Dio, non possiamo non porci ogni volta l'interrogativo sulla correttezza del nostro modo di interpretarla. E c'è da aver paura di qui questo ha disimparato questo dubbio.

Afferma la teologia che il diavolo insidia le anime per fare un dispetto a Dio. Ma il dispetto a Dio è solo un sovrappiù: la brama demoniaca è in primis proprio quella di controllare, signoreggiare le anime. E questo vale sia per il demonio che per l'uomo. Empio o devoto che sia.

I teologi che affermano che l'inferno esiste ma è vuoto pensano forse che Dio abbiamo come consulente uno psicologo.

Conosciamo tanto poco la nostra fede quanto poco conosciamo noi stessi.

Le grandi fedi potranno diventare davvero artefici di pace quando assumeranno fino in fondo che la Dio vuole esercitare la sua signoria non su comportanti, corpi o istituzioni, ma sul cuore, ed è questo il senso della libertà conferita all'uomo.

Non giudicate se non volete essere giudicati vale, innanzitutto: non giudicate voi stessi.

L'ateismo viene presentato come "non credere", quindi come antitesi della fede, mentre è "credere che non", quindi una modalità della fede.

Il credente guarda con paura all'incredulo, come ad un malato che può diffondere il contagio; l'incredulo guarda con disprezzo al credente, come ad uno sciocco che si è acquistato a buon prezzo un'immeritata serenità; il disgusto del primo e l'invidia del secondo li accomunano in una profonda non verità.

Nel mistico tutto risplende della sua propria luce.

Il monito medice cura te ipsum (medico, cura te stesso) vale anche e soprattutto per i medici dell'anima.

La fede è anche credere che un giorno potremo davvero credere.

Non si dovrebbe sottovalutare che Gesù incontrò la sua passione non solo perché così stava scritto, ma anche perché rifiutò ogni appartenenza, a Zeloti, Farisei, Scribi, Sacerdoti, in nome dell'unica appartenenza al Padre. Non dovrebbe essere così anche per ogni vero seguace di Gesù?

La secolarizzazione non è la crisi della religione, ma della religione della trascendenza. Godono invece di ottima salute le religioni dell'immanenza. Un eccellente esempio è lo sport, con le sue liturgie, i suoi tempi e luoghi sacri, i suoi testimoni, le sue virtù, la sua salvezza e le sue sacre istituzioni. Come religione dell'immanenza lo sport aspira all'universalità della conversione, vuole per sé ogni attività fisica o anche solo agonistica.

La fede è credere che la verità non sia mai inopportuna.

Parrebbe presunzione ottusa la pretesa di dividere il mondo in buoni e cattivi; perché invece si pensa naturale dividerlo in credenti e non credenti, come se la fede fosse qualcosa di molto più perspicuo della bontà?

Più difficile fra le cose difficili è la fede, perché è legata al prestar fede al più infido fra tutti gli esseri, l’uomo.

Una Chiesa che invita a leggere ed interpretare i segni dei tempi diventa essa stessa un segno dei tempi.

Se Dio ti chiede di fidarti è perché ti ama; se te lo chiede un uomo è perché vuole essere un dio per te.

Non finisce mai di stupire con quanta sicumera si parli di Dio senza arrossire.

C’è qualcosa di indicibilmente mistico nel silenzio delle chiese vuote.

C'è chi crede per sentirsi amato, chi per sentirsi a posto, chi per sentirsi radicato in una comunità ed in una storia. E c'è chi crede perché nella notte assoluta scorge un lume.

Chi esalta il primato dell'amore mortifica quello della verità e dimentica che la questione decisiva è quale sia il vero amore.

Ci sono le certezze di fede e le certezze sulla fede, prima fra tutte che la fede è assolutamente inconciliabile con l’attaccamento a ricchezze e fama.

Se Dio è persona, può trovare interessante che qualcuno voglia anche litigare aspramente con lui, e non solo incessantemente lodarlo; se non lo è, non ha niente a che fare con noi.

Ci si lamenta della crisi della fede nel mondo contemporaneo, ma la fede è sempre stata cosa rarissima e quindi, in quanto tale, preziosissima.

Solo una fede incerta può temere la ragione; solo una ragione opaca può adombrarsi per la fede.

I teorici della comunicazione persuasiva hanno ben messo a fuoco la forza dell'effetto annuncio: annunciare che si farà qualcosa suscita consenso e plauso che solo in parte viene scalfito dal fatto che poi non lo si farà (perché la verifica non è sistematica). Qualcosa di analogo accade nell'immaginario di taluni credenti nel loro rapporto con Dio.

L'amore più profondo accetta di essere bersaglio del dolore, della frustrazione e del risentimento della persona amata. Così l'amore divino.

Le aspre vie della fede devono sormontare una triplice mediazione attraverso cui giunge a noi la Parola di Dio: la memoria di chi vide ed ascoltò, la rilevanza per cui solo piccolissima parte di quanto visto ed ascoltato è stato scritto, la tradizione per cui tutto ciò è giunto a noi.

Un vero credente come Cristo non può davvero temere la morte, ma la sofferenza sì.

C'è qualcosa di molto peggio che bestemmiare Dio, diffamarlo, affermando che possa essere l'artefice di una infelicità atroce ed eterna per chi se la merita, cosa che ben pochi anche fra gli uomini peggiori si sentirebbero di fare.

Sta scritto nel Vangelo che i veri seguaci di Cristo saranno perseguitati; per questo molti credenti, sentendosi perseguitati (o semplicemente presi di mira) sono convinti di essere veri seguaci di Cristo. Incorrono così non solo in un errore logico (se tutti i cigni sono bianchi, non ne consegue che tutte le cose bianche siano cigni), ma anche e soprattutto in un errore di fede (non si pongono mai davvero la domanda sul perché suscitino scandalo ed avversione).

Molti di coloro che detestano i Cristiani si sentono più o meno consapevolmente offesi dall'essere amati non per loro stessi, ma in nome di un Altro.

La fede servile si sente davvero realizzata quando esprime di Dio il concetto più basso.

Quanto si dice che nella fede non si deve ragionare si ragiona, almeno per un aspetto, sulla fede stessa.

Il credente che spia inquieto la fede di chi gli sta intorno teme in realtà di volgere lo sguardo a se stesso.

L’ultima tentazione di Dio: tornare alla solitudine che precede la creazione dell’uomo, perché nessun dolore è più lancinante dell’impotenza di fronte alla sofferenza di chi si ama (Dio può anche soffrire con, non però soffrire al posto di).

Se Dio non avesse voluto che ci ponessimo troppe domande ci avrebbe fatti come i cani, con un bel corredo di istinti per sopravvivere ed un profondo sentimento di dipendenza per amarlo.

Se davvero esistessero gli occhi della fede, guarderebbero con commiserazione i ricchi e con ammirazione i poveri, cosa che invece avviene ben di rado.

Avere poca fede significa oscillare fra averla e non averla.

Vi riconosceranno da come vi amerete, dice Gesù, non dal semplice fatto che vi amiate.

Il cammino della fede non segue una strada, ma il sottile filo di una corda, che espone alla caduta su un duplice lato, l'eccessiva confidenza nella bontà divina e l'eccessivo angoscia di chi avverte quanto sia profonda ed inestirpabile la adice del male.

Riporre la salvezza soprattutto nella fede semplifica molto la questione, perché chiama in gioco solo Dio; ben più difficile è l'amore, che chiama in gioco gli altri.

Non si può amare il proprio giudice, almeno fintantoché lo si percepisce come giudice. Per questo la fede è condannata ad un incessante movimento pendolare fra l’amore ed il timore, senza trovare il proprio ubi consistam.

Credere è assumere la certezza che Cristo è risorto, ma affermare, con San Paolo, che se così non fosse la fede sarebbe vana significa svilirla irreparabilmente.

C'è il radicato sospetto che del sesso si parli tanto più quanto meno lo si pratica; la stessa cosa vale probabilmente per l'amore e la fede.

La fede può essere debole, ma lo è molto di più, in genere, la fede nella fede, cioè la fiducia nella sua forza: il credente viene immaginato come fragile, quasi per definizione, esposto alla forza dirompente dello scandalo, come se la fede fosse, appunto, il più precario dei beni.

Gesù non voleva essere chiamato maestro; dopo di lui i Cristiani non disdegnarono il titolo di “signore”.

A chi non crede Pascal suggerisce di vivere come se credesse,far dire una Messa, pregare. Così la fede verrà. Ma, forse, così verrà solo meno la consapevolezza di una fede ridotta a simulazione.

Nell'atto del credere si legge il Vangelo come se fosse la prima volta.

Non appena un filosofo abbia accede all’aldilà, cerca subito di incontrare Adamo, per ascoltare il suo linguaggio.

È molto più facile credere che ricredersi.

Doppio pro-memoria per gli uomini di fede: ricordarsi che Gesù cacciò i mercanti dal tempio, ricordarsi che riattaccò l'orecchio di Malco. Contro una doppia tentazione: quella di concepire la fede come acquiescente alle potenze di questo mondo e quella di pensare che la fede debba armarsi di spada.

LApocalissa è il finale svelamento: "quidquid latet apparebit", tutto ciò che è nascosto verrà alla luce. Ed allora gli oppressi saranno felici perché appparirà l'immane dolore della loro oppressione, gli oppressori saranno felici perché si trovernno in buona e numerosa compagnia, oppressi ed oppressori di approssimeranno al Mistero pensando di incontrare lo sguardo di un giudice.

Se Dio vorrà salvarci, ci incontrerà faccia a faccia; se non lo vorrà, ci lascerà soli con l’inferno della nostra coscienza.

Da quando si è detto che per salvarsi bisogna avere fede si sono tranquillizzati coloro che nel fondo del cuore sono certi di poter avere tutto.
Parlando di fede si intende quella dell’uomo verso Dio. Si dimentica di stupirsi della fede di Dio verso l’uomo, dal momento che a questi è concesso di parlare  ed addirittura agire in suo nome.

Fra le qualità divine il primo posto spetta alla pazienza: l’infinita distanza dall’umano si misura infatti osservando come Dio si astenga dal tacitare la turba impudente che parla a suo nome, affermando anche le cose più distanti dalla divina natura.

La difficoltà della fede non è legata al credere che Dio esista, ma che nei Vangeli sia riportato proprio tutto e solo tutto ciò che è essenziale per scorgere il volto di Dio.

la fede nella fede non è credere in Dio, ma credere che l'uomo sia (stato) salvato.

La civiltà contemporanea è radicalmente anticristiana perché è civiltà dello sradicaento. la crisi della famiglia ne è solo un epifenomeno.

Se ha senso parlare dell'ira divina, si dovrebbe sospettare che questa sia scatenata innanzitutto da coloro che calpestano in se stessi la sua immagine, mortificando la propria intelligenza e banalizzando l'amore.

Da qualche parte sta scritto: “Domini sumus”, che può essere tradotto “siamo del Signore”, ma anche “siamo Signori”. Questa, come ogni altra ambiguità, getta un potente fascio di luce sulla condizione umana.

Molti lamentano che le categorie filosofiche abbiano adulterato il senso genuino dell’Evangelo cristiano; quanto più lo hanno sfigurato le categorie giuridiche romane!

Scandalosa in un sacerdote è più di ogni altra cosa l'acidità.

Tutti i peccati saranno rimessi, ma il peccato contro lo spirito non sarà mai rimesso: così il Vangelo. Nella tradizione teologica tale peccato è identificato nella “desperatio salutis”, cioè nel disperare di poter essere salvati. Direi piuttosto che si tratta della pura e semplice disperazione, che si manifesta nel radicamento nelle cose finite (tutt’altro che ara negli uomini di fede).

Si dice che Jan Huss, vedendo una vecchina portare un fascio di legna per alimentare il rogo che lo avrebbe consumato, abbia esclamato: “Sancta simplicitas!”. Avrebbe meritato il rogo per questa sola sciocchezza: in quel gesto non vi era nulla di santo, né di semplice.

Anselmo d’Aosta definisce Dio “id quo maius cogitari nequit", cioè “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”. In realtà Dio è molto più di questo.

Non dovrebbe essere irrilevante l'osservazione che Gesù Cristo perde le staffe di fronte a due cose: denaro ed ipocrisia.

Si dice che la scienza allontani dalla fede. In realtà la crescita esponenziale dei saperi scientifici costringe sempre più l’uomo a fidarsi di acquisizioni che richiederebbero strumenti teorici troppo complicati per essere davvero comprese.

Per una curiosa ambivalenza, nella fede si ritiene presunzione ed arroganza pensare di poter davvero meritare qualcosa davanti a Dio, e non si ritiene presunzione ed arroganza pensare di poter parlare quotidianamente di Dio a nome di Dio.

La ricerca della fede è spesso ricerca della fede altrui.

A chi credere è questione che sempre anticipa a cosa credere.

Se solo si trovasse un vero credente, le montagne si metterebbero in cammino per conoscerlo.

Per avvertire il pensiero di Dio che si posa su di noi come mano sulla spalla dobbiamo riuscire ad immaginare che non vi sia nessuno al mondo che pensi a noi, ed attraversare la notte di questo abissale silenzio.

Solo i discorsi su Dio godono del privilegio di poter toccare estremi logicamente incompatibili; così da una parte nessun teologo cesserebbe mai di rimarcare l’infinita distanza di Dio dall’uomo, dall’altra si afferma l’infinità prossimità che consentirebbe a (taluni) uomini di parlare in nome di Dio stesso.

Insistere ossessivamente sull'auscultazione interiore per cogliere la voce di Dio ci espone al rischio di confonderla con la voce dell'io.

L'altissimo valore spirituale della preghiera non implica che questa debba essere insistente: non la petulanza, ma l'accento accorato è una virtù del chiedere.

La morte bianca della verità si consuma quando questa viene ripetuta con tono cantilenante.

Molti cristiani fraintendono l'invito evangelico a tornare come bambini, e, come bambini, dicono volentieri di sì al padre con il recondito intento di fare comunque quel che desiderano.

La parabola del figliol prodigo è stata a ragione ribattezzata parabola del Padre buono, perché mostra l'infinita distanza fra Dio e l'uomo: mentre entrambi i fratelli, pur nella loro profonda differenza, ragionano nell'ottica dell'utile, il Padre cerca di usarla per suscitare in loro il sentore di qualcosa di totalmente altro, l'amore.

Non ha senso chiedersi in generale se la scienza nuoccia alla fede o la consolidi: la fisica ha spesso reso ottimi servigi alla sua causa della fede, la biologia ha costituito invece una pericolosa pietra d'inciampo (l'armonia del cosmo sembra molto lontana dall'orrore della vita).

Uno dei principi dell'Ermeneutica è che l'interprete può comprendere l'autore meglio di quanto questi abbia compreso se stesso. Molti ermeneuti della Parola di Dio hanno tutta l'aria di condividerlo interamente.

Un interrogativo da sollevare sempre di nuovo: ma cos'è davvero l'offesa a Dio? Offesa è lesione, diminutio, e Dio in nulla può subirla. Offesa può essere, invece, la sensibilità di chi crede. Ma se davvero la fede è l'evangelia pietra preziosa per la quale simo disposti a vendere ogni altro bene, come dovremmo sentirci se qualcuno la deridesse? Feriti? Piuttosto compatiremmo stupiti l'ottusa malevolenza di chi non ne coglie il valore incommensurabile.

Si attribuisce a S. Ignazio di Loyola la frase "non coherceri maximo, contineri tamen minimo divinum est", cioè "è proprio di Dio non essere limitati dalla realtà più grande, ma essere contenuti dalla più piccola". Questo luminoso assioma viene smentito dalla pratica degli uomini di fede che immaginano Dio circoscritto dalle proprie formule teologiche ma presente solo per immaginazione poetica nelle realtà più ignobili.

La crisi della fede ci riconduce ad un'arcaica credenza animistica: viviamo nella nostra immagine. Di qui l'imperativo dell'apparire e la crisi dell'etica (il bene è ben poco appariscente).

Questione: perché chi crede è così spesso refrattario ad un libero e franco confronto sul credere o non credere? Risposta (malevola): perché non crede.

"Non disperare, uno dei due ladroni fu salvato; non presumere, uno dei due ladroni fu dannato": così S. Agostino, che fa della pura sospensione l'essenza stessa della fede. Resta da capire come possa conciliarsi questa sospensione con la natura profonda dell'amore, che invece vive di confidenza.

Scoprire perché le stigmate, da segno di particolare elezione divina, siano passate a significare il segno della riprovazione umana sarebbe assai interessante.

E' molto più difficile credere nell'uomo che in Dio.

L'esclusione della pura onestà dalle virtù teologali e da quelle cardinali non la mortifica, anzi ne esalta la singolare eccellenza, come condizione di possibilità di tutte le altre.

Il credente teme nel miscredente una malattia di cui non riesce ad indovinare la natura; il miscredente detesta nel credente una felicità di cui non riesce ad immaginare il merito.

Fra i paradossi della fede, il più paradossale è il connubio fra timore ed amore.

La fede è il silenzio di fondo dell'esistenza, l'incredulità lo smarrimento di fronte a questo silenzio.

Un luogo comune molto diffuso è che l'obbendienza sia il più potente antidoto contro la superbia. A ben vedere vi è, però, una sottile ma profonda superbia anche nell'obbedire.

Dio parla agli uomini, ma non al cuore del singolo uomo, perché proprio della divinità è poter comunicare al di là dei limiti di ciascun linguaggio.

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