L’ANALITICA TRASCENDENTALE. |
5.1.1. ANALITICA DEI CONCETTI. A: i concetti puri dell’intelletto o categorie.
L’intelletto
è, in generale, la facoltà delle conoscenze attraverso concetti. Esso non può
intuire, cioè conoscere qualcosa immediatamente, poiché la conoscenza è
sempre relativa al molteplice empirico dato (le intuizioni senza concetti sono
cieche, ed i concetti senza intuizioni sono vuoti). Per lo stesso motivo esso
non può trascendere il limite dell'orizzonte empirico, cioè dei fenomeni. I
concetti puri dell’intelletto, o categorie, sono ciascuno dei dodici modi in
cui l’intelletto, nella sua attività sintetica, unifica il molteplice
empirico dato. Essi sono quindi forme dell’intelletto e funzioni che ordinano
diverse rappresentazioni sotto una rappresentazione comune. Conoscere significa
giudicare, cioè unire un soggetto ed un predicato. Ma la sintesi che si esprime
nel giudizio coincide con l’attività unificatrice dell’intelletto. Vi
saranno dunque tanti modi di questa attività, cioè tante categorie, quanti
sono i modi del giudizio, e precisamente dodici, con-formemente alla tavola
logica dei giudizi: unità, pluralità, totalità (quantità); realtà,
negazione, limitazio-ne (qualità); sostanza ed accidente, causa ed effetto,
azione reciproca (relazione); possibilità, esistenza, necessità (modalità).
ANALITICA DEI CONCETTI. B: la deduzione trascendentale delle categorie.
Deduzione significa per Kant dimostrazione relativa alla legittimità di una pretesa, cioè quaestio juris, non quaestio facti. In questo caso si tratta di legittimare la pretesa avanzata dall’intelletto di applicare a priori i propri concetti puri ad un’esperienza che non è prodotta dall’intelletto stesso, o, in altri termini, di dimostrare come possano le condizioni soggettive del pensiero avere anche validità oggettiva. Siccome non può esservi per noi alcuna esperienza che non sia unificata, cioè determinata in ogni suo aspetto, l’unificazione è condizione di possibilità dell’esperienza, che non deriva da essa, ma dall’originaria attività di sintesi dell’intelletto. Ecco perché le categorie si applicano legittimamente a priori ad un’esperienza che non è prodotta dall’intelletto: l’esperienza nella sua datità o materia non è prodotta dall’intelletto, ma ogni aspetto formale di essa rimanda a questo, cioè è costituito dall’originario condizionamento imposto dall’intelletto ad ogni possibile oggetto d’esperienza. Ecco perché ogni oggetto d’esperienza non può non sottostare alle categorie dell’intelletto: come Kant dirà parlando del principio supremo di ogni giudizio sintetico a priori, le condizioni di possibilità dell’esperienza sono ad un tempo condizioni di possibilità di ogni oggetto d’esperienza.
ANALITICA DEI CONCETTI. C: l’Io penso.
L’Io
penso è la sintesi trascendentale dell’apperce-zione, la forma logica stessa
del pensiero che deve accompagnare ogni possibile rappresentazione, che non
sussisterebbe neppure se non nel contesto dell’unità del soggetto conoscente.
L’Io penso è dunque la funzione di sintesi originaria per la quale
l’intelletto costituisce l’unità dell’esperienza, e quindi l’esperienza
stessa. Esso è la radice unitaria delle dodici categorie, in quanto queste sono
forme diverse di un’unica attività di sintesi originaria, che costituisce il
molteplice empirico nei suoi aspetti formali. L’Io penso è dunque
l’elemento decisivo nel contesto della deduzione trascendentale delle
categorie: l’unità, carattere costitutivo dell’esperienza, non è
dall’esperienza stessa, ma rimanda, come a suo fondamento, all’unità
trascendentale del soggetto conoscente, rappresentata appunto dall’Io penso.
Esso non ha dunque alcuna valenza psicologica: non è il principio della
personalità, ma l’impersonale unità sintetica dell’intelletto ed unità
logica del conoscere.
5.1.2. ANALITICA DEI PRINCIPI. A: lo schematismo trascentale.
Le categorie non contengono
in sé alcun riferimento al tempo. La categoria di causa ed effetto, per
esempio, riguarda la connessione necessaria di due elementi per cui posto
l’uno, deve essere posto necessariamen-te anche l’altro. Le categorie
debbono però essere applicate al molteplice fenomenico nello spazio e nel
tempo. Perché ciò sia possibile bisogna presupporre un elemento mediatore, lo
schema trascendentale (prodottodall’immaginazio-ne produttiva), che permetta
ad ogni singola categoria di operare la sintesi di dati empirici che siano in un
determinato rapporto tem-porale. Ogni categoria ha il proprio schema. Quello
della categoria di causa ed effetto è la successione nel tempo. La dottrina
dello schematismo configura la subordinazione della sensibilità alle istanze
dell’intelletto, cioè l’originaria attività di questo sulla sensibilità:
l’originaria temporalizzazione dei fenomeni operata da essa, infatti, non è
casuale, ma strutturata, in virtù della mediazione degli schemi trascendentali,
in modo tale che il molteplice fenomeni-co abbia quell’ordine e regolarità
che permette, in sede conoscitiva, di applicare ad esso le categorie
dell’intelletto.
ANALITICA DEI PRINCIPI. B: il principio supremo; la seconda analogia dell’esperienza.
Il principio supremo di tutti i giudizi sintetici è il seguente: ciascun oggetto sottostà alle condizioni necessarie dell’unità sintetica del molteplice dell’intuizione in una esperienza possibile. In altri termini: le condizioni della possibilità dell’esperienza in generale sono a un tempo condizioni della possibilità degli oggetti dell’esperienza, ed hanno perciò valore oggettivo in un giudizio sintetico a priori. Gli oggetti dell’esperienza, dunque, debbono sottostare a quell’ordine e regolarità ed a quella unità che è condizione di possibilità dell’esperienza in generale, come dimostrato nella deduzione trascendentale delle categorie. I principi sintetici dell’intelletto puro esprimono la legalità fondamentale dell’esperien-za che è costitutivamente omnimodo determinata.
La
seconda analogia dell’esperienza afferma che tutti
i cambiamenti avvengono secondo la legge del nesso di causa ed effetto.
Contro Hume, che aveva sostenuto la genesi del concetto di causa
dall’abitudine (post hoc, ergo propter
hoc), e quindi la sua soggettività, Kant sostiene che esso è oggettivo,
poiché non deriva dall’esperienza, ma è condizione di possibilità della
stessa (propter hoc, ergo post hoc).
ANALITICA DEI PRINCIPI. C: la distinzione tra fenomeni e noumeni.
Kant afferma che ogni oggetto possibile è o fenomenico (oggetto di conoscenza, condizionato), o noumenico (oggetto di pensiero, la realtà in sé, l’incondizionato). Le categorie si applicano legittimamente solo agli oggetti d’esperienza (uso immanente), in quanto ne costituiscono, come la loro deduzione trascendentale ha dimostrato, i costituenti essenziali. Il criticismo kantiano è detto anche filosofia del limite in quanto le condizioni di possibilità della conoscenza, cioè della scienza, ne configurano anche i limiti: l’esperienza è dunque l’orizzonte invalicabile della conoscenza. L’applicazione delle categorie agli oggetti noumenici è dunque illegittima (uso trascendente, ma Kant dice anche trascendentale).
Kant afferma anche che il concetto di noumeno è…solo un concetto limite, per circoscrivere le pretese della sensibilità, e di uso, quindi, puramente negativo. Detto altrimenti: il noumeno rappresenta il limite della conoscenza, cioè è il concetto di un oggetto incondizionato e, proprio, per questo, inconoscibile, poiché conoscere è condizionare.
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