F. Nietzsche (1844-1900).

La concezione antropologica.

  

Per Nietzsche ogni uomo è volontà di potenza. Questa ha però due forme, quella attiva o affermativa e quella reattiva. La prima, che dice integralmente sì alla vita, rappresenta la forma forte, mentre la seconda, che dice no alla vita, rappresenta la forma debole. Le caratteristiche fondamentali di queste due forme sono elencate comparativamente qui di seguito.

La forma attiva o affermativa.

La forma reattiva.

Nella forma attiva la volontà di potenza si esprime espansivamente, in direzione della realtà e degli altri uomini, determinando un potenziamento della vita.

Nella forma reattiva la volontà di potenza si ripiega su se stessa, diviene una forma di crudeltà dell’uomo su se stesso e determina una atrofia della vita.

La forma attiva è benedizione, affermazione gioiosa ed integrale della vita e della realtà, che di per sé non hanno alcuna forma, ordine, razionalità e bellezza, ma sono dominate da necessità, fato, caso e caos, e quindi sono assurde e terribili. Essa è fedeltà alla terra, cioè alla radicale finitezza di tutto ciò che è umano, ed amor fati, affermazione gioiosa dell’eterno ritorno dell’identico.

La forma reattiva è maledizione segnata dal risentimento, cioè negazione della vita e della realtà, negazione che è la radice di ogni svalutazione della dimensione empirica e di ogni ricerca metafisico-religiosa del mondo vero al di là di quello empirico. Essa rifiuta la finitezza e materialità dell’uomo, ed individua il mondo vero in una illusoria dimensione intemporale.

La forma attiva dice sì anche al dolore, condizione necessaria del potenziamento della vita e dello smascheramento delle menzogne millenarie che hanno diffamato la vita (il grande dolore genera il grande sospetto). Essa vuole lasciare che si soffra, e per questo rifiuta la compassione come frutto avvelenato della negazione della vita.

La forma reattiva rifiuta il dolore, non vuole che si soffra, e si esprime nella compassione, sintomo della meschinità della vita. Il rifiuto del dolore condanna la forma reattiva ad una vita mediocre, incapace della grande felicità. Esso domina nella civiltà contemporanea, caratterizzata dall’imperativo di ridurre al minimo il dolore.

La forma attiva si esprime nella gioia del creare e del distruggere, afferma immoralisticamente il superamento dei valori della tradizione metafisico-cristiana (transvalutazione di tutti i valori) e la gioia di imporre significato e valore che discendono dalla forza e dalla grandezza ad una realtà che non ha di per sé significato o valore alcuno.

La forma reattiva si alimenta dei valori della tradizione metafisico-cristiana, cioè della morale del gregge e della compassione (umiltà, altruismo, uguaglianza degli uomini). Essa crede in valori immanenti alla realtà, radicati nell’essere metaempirico ed eterno.

La forma attiva è pathos della distanza ed affermazione della naturale diseguaglianza e distinzione degli uomini, voluta come aspetto del polimorfismo della vita. Essa afferma una concezione aristocratica dei valori e la necessità naturale che la grandezza domini sulla debolezza: è la grande salute.

La forma reattiva è ricerca della vicinanza ed uguaglianza fra gli uomini, si esprime nel desiderio di annidarsi nell’anima di altri uomini, di eliminare tutto ciò che è grande ed eccede la mediocrità della massa. Essa vuole il dominio della debolezza sulla forza, ed è perciò contro la natura: è malattia contagiosa.

La forma attiva afferma l’uomo come frammento di fato, oltrepassando l’illusoria convinzione che esista la responsabilità.

La forma reattiva crede nella responsabilità e nella colpa dell’uomo, schiacciandolo sotto il peso della cattiva coscienza.

La forma attiva rappresenta la forma attiva del nichilismo compiuto, cioè coglie nel nulla di valore della realtà l’apertura di un campo indefinito di possibilità per la creatività e l’espansione della vita, che afferma nuovi significati e forme.

La forma reattiva sfocia storicamente nella forma estrema della debolezza, il nichilismo reattivo che è l’estremo disgusto per la vita e ricerca negli idoli illusori surrogati del Dio che è morto.

La forma attiva troverà la sua massima espressione nell’oltre-uomo, che oltrepasserà l’uomo così come questo oltrepassa la scimmia.

La forma reattiva trova la sua massima espressione nell’umanità decaduta e degenerata, che non sopporta il dolore ed il conflitto, ricerca quiete e mitezza ed è segretamente disgustata dalla vita.

La forma attiva si manifesta nell’esplorazione e nell’esperimento (Nietzsche concepisce la sua stessa vicenda intellettuale ed umana come esperimento sulla possibilità di incorporare la verità nella vita).

La forma reattiva si manifesta nel bisogno dell’assoluto, cioè di punti di riferimento assoluti che orientino e rassicurino l’uomo di fronte alla realtà.

La forma attiva dice sempre sì o passa oltre.

La forma reattiva nega e si oppone, cioè non può non reagire (da ciò la sua denominazione) di fronte ad uno stimolo o a ciò che non rientra nel suo quadro di valori.

La forma attiva tende a ripristinare l’equazione di forza e bene, ed è propria degli spiriti liberi.

La forma reattiva teme la forza ed individua il bene nella mitezza.

 

Massimo Dei Cas
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