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L. WITTGENSTEIN (1889-1951) 

1. Il Tractatus logico-philosophicus (1921-22): punti d’attenzione

·        Nel Tractatus, scritto nella forma di proposizioni numerate, si ritrovano le posizioni del cosiddetto primo Wittgenstein, che influenzarono considerevolmente il nascente movimento neopositivistico del Circolo diVienna.

·        Nel Tractatus Wittgenstein vuole rispondere a due domande di fondo: cos’è il mondo?; cos’è il linguaggio?

·        Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose: esso infatti non è costituito da cose, ma dal permanere di certi stati di cose. Una camera, per esempio, non è un insieme di oggetti, ma il permanere di quegli oggetti nella medesima configurazione spaziale.

·        Il linguaggio è raffigurazione del mondo, cioè parla del mondo raffigurandolo, riproducendone la forma, così come uno spartito musicale od un disco riproducono la forma del relativo brano musicale. Ciò che vi è di comune fra linguaggio e mondo è la forma logica: linguaggio e mondo non hanno alcuna forma di somiglianza, ma sono isomorfi, cioè hanno la stessa forma.

·        Il linguaggio, dunque, parla sempre di fatti, non può che dire il mondo, descriverlo. Si può però illusoriamente pensare che esso possa anche esprimere qualcosa che non è un fatto, ma è significato o valore di un fatto. In tal caso si fraintende la sua natura, si cade in errore: non le parole, ma la vita esprimono il significato o il valore dei fatti e del mondo agli occhi di un uomo. Il significato o il valore dei fatti non è un fatto, per cui non può essere detto. Esso viene vissuto, sentito, ma è assolutamente indicibile, o inesprimibile linguisticamente; viene invece mostrato vivendo.

·        Vivendo mostriamo che cosa è il mondo per noi, quale valore o significato ha per noi: le nostre scelte, i nostri atti ed atteggiamenti, non le nostre parole, mostrano ciò.

·        Il bilancio dell’opera è il seguente. Il linguaggio non può che essere descrizione del mondo, per cui le uniche proposizioni sensate sono quelle che parlano di fatti, e l’insieme di tutte le proposizioni sensate vere è la scienza. Non vi è altra conoscenza del mondo che non sia quella scientifica. Esistono poi le proposizioni vuote di significato, le tautologie che valgono per ogni possibile configurazione di fatti (es.: uno scapolo non è sposato). Esistono infine proposizioni insensate, prive di senso, che cercano di dire l’indicibile, cioè di parlare non di fatti, ma di significati o valori (es.: le proposizioni della metafisica). Contro queste ultime, Wittgenstein afferma lapidariamente che di tutto ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.

·        Wittgenstein non vuole però sostenere che l’unica dimensione importante dell’esistenza sia la scienza: essa, anzi, pur essendo l’unica conoscenza possibile del mondo, non può contribuire neppure minimamente a risolvere quelli che sono gli autentici problemi che toccano l’esistenza dell’uomo, i problemi legati al significato della vita. Tutto ciò che è più importante per l’uomo, che Wittgenstein riassume nel termine mistico, non può essere detto, ma solo mostrato, vivendo. La scienza mi dice come il mondo è, mentre la dimensione mistica parte dal sentire che il mondo è, e comunque riguarda il suo significato, il suo senso per me.

·        Wittgenstein è convinto di aver risolto, con la sua opera, ogni problema filosofico, avendo mostrato che l’unico discorso conoscitivo sul mondo è la scienza, mentre tutto ciò che riguarda il valore del mondo non può essere oggetto di conoscenza, ma riguarda la vita. La filosofia, dunque, non ha alcuno spazio autonomo: essa è nata da un fraintendimento della natura del linguaggio e della conoscenza, ed avrà fine quando ci si renderà conto di questo fraintendimento. Wittgenstein ritiene che la sua opera possa generare questa consapevolezza .

·        Egli è peraltro ben consapevole della natura paradossale del Tractatus: esso, infatti, non parla del mondo, ma del linguaggio; non si limita a descrivere, ma prescrive ciò che si può dire e ciò che non si deve dire; insomma, esso dice ciò che, a rigore, non può essere detto, poiché non parla di fatti. Per esprimere il senso di tale paradosso, egli usa la metafora della scala: la sua opera deve essere considerata come una scala da salire per poter raggiungere un punto abbastanza elevato dal quale poter vedere con maggiore chiarezza come stanno le cose; una volta raggiunta tale posizione, cioè la chiara consapevolezza di ciò che mondo e linguaggio sono, la scala stessa deve essere gettata via. Fuor di metafora: il Tractatus non si candida ad essere opera fondamentale nella storia della filosofia, ma solo opera che mostra che la filosofia, e con essa il Tractatus stesso, va abbandonata, in quanto i tradizionali problemi filosofici non si risolvono con la filosofia, ma con la vita.

·        I Neopositivisti accolsero entusiasticamente il Tractatus, soprattutto perché in esso la scienza veniva presentata come unica forma possibile di conoscenza, e la metafisica veniva liquidata come discorso senza senso.

2. Le Ricerche filosofiche (1953): punti d’attenzione

·        Negli aforismi delle Ricerche filosofiche si ritrovano le posizioni del cosiddetto secondo Wittgenstein.

·        Egli rivede radicalmente le tesi del Tractatus circa la natura del linguaggio, affermando che la descrizione del mondo non è l’unico suo uso legittimo. Nel Tractatus aveva tracciato i confini di un linguaggio perfettamente ordinato, il linguaggio che raffigura il mondo; ora sostiene, invece, che nel linguaggio tutto va bene così com’è, cioè che ogni uso effettivo del linguaggio nel contesto della quotidianità è perfettamente ordinato. Il linguaggio della scienza, insomma, non è l’unico linguaggio legittimo.

·        Wittgenstein utilizza la metafora dei giochi linguistici per designare i molteplici usi effettivi del linguaggio nel contesto della quotidianità. Gli uomini, nella quotidianità, sono immersi in molteplici forme di vita, cioè situazioni quotidiane. Ad ogni forma di vita appartiene una forma del linguaggio, cioè un gioco linguistico. Giochi linguistici sono, per esempio, il descrivere il mondo, il comunicare di muratori che costruiscono una casa, l’interrogare in una situazione scolastica, il raccontare un fatto, il raccontare una barzelletta, il parlare di sport con amici, e così via.

·        L’espressione gioco linguistico non deve indurre a pensare che si tratti di utilizzazioni scherzose e divertenti del linguaggio: essa vuole piuttosto esprimere che siamo totalmente immersi e presi in una certa forma di linguaggio, proprio perché siamo presi ed immersi in una forma di vita. Inoltre i diversi giochi linguistici, come i giochi veri e propri, hanno una fitta trama di rassomiglianze incrociate, ma nessuna caratteristica comune a tutti. Essi hanno, infine, sistemi diversi di regole, che apprendiamo con l’uso, quanto apprendiamo ad orientarci nelle diverse forme di vita.

·        Se un leone potesse parlare, non potremmo comprenderlo, perché le sue forme di vita sarebbero troppo diverse dalla nostra, per cui i suoi giochi linguistici ci apparirebbero incomprensibili.

·        Anche nel secondo Wittgenstein rimane l’idea che la metafisica sia priva di senso. Essa, infatti, non costituisce alcun gioco linguistico, perché non è contestuale ad alcuna forma di vita. I problemi metafisici nascono quando i filosofi considerano parole come essere, sostanza, soggetto, e così via, al di fuori di quei giochi linguistici nei quali tali parole vengono quotidianamente usate senza alcun problema. Tutti capiscono cosa significa la frase dimmi, in sostanza, quel che è accaduto… I filosofi, invece, considerano il termine sostanza in se stesso, chiedendosi cosa sia mai la sostanza. Hanno l’impressione che si tratti di una questione misteriosa e profonda, poiché, più considerano il termine per sé preso, e più il loro pensiero si fa annebbiato e confuso. Questa nebbia è per loro indice della profondità del problema; in realtà non c’è nessun problema. Solo nella vita ci sono problemi; i problemi filosofici non sono autenticamente tali, per cui non possono essere risolti, ma vanno dissolti.

·        La dissoluzione degli pseudo-problemi filosofici è opera di quella terapia filosofica che vuole guarirci dalla malattia filosofica. La terapia consiste nel mostrare come le cose stanno, ed è questo lo scopo per cui sono state scritte le Ricerche filosofiche. Anche in esse, dunque, è presente l’idea che la filosofia debba avere un termine: quando avrà guarito i filosofi dalla malattia filosofica, anche la terapia filosofica terminerà. Tuttavia Wittgenstein si mostra convinto che le suggestioni insite nel linguaggio determineranno il risorgere della malattia filosofica, per cui si ripresenterà sempre la necessità di una terapia per guarire da essa.

Massimo Dei Cas
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