L'EPISTEMOLOGIA GENETICA DI J. PIAGET

Il cognitivismo Il comportamentismo Il funzionalismo Psicologie del profondo
Il modello comprensivo Pragmatica della comunicazione Piaget L'associazionismo

L’impianto della psicologia genetica risente del funzionalismo di James e Claparède. Piaget si oppone decisamente all’associazionismo ed al comportamentismo, negando che l’attività cognitiva possa essere ridotta a schemi fisici e biologici elementari, ma anche al vitalismo bergsoniano. Per questo lo si può considerare il principale precursore del paradigma congitivistico. La sua concezione delle strutture dell’intelligenza come totalità irriducibili alla somma degli elementi componenti è, infine, accostabile alla prospettiva d’indagine della psicologia della Gestalt.

 

J. Piaget inaugura un’originale prospettiva di ricerca fondata  sul presupposto dell’esistenza di un rapporto tra lo sviluppo delle diverse strutture dell’intelligenza nel bambino e nell’adolescente ed il processo di sviluppo del pensiero dell’umanità, giunto alla sua fase scientifica. Lo studio genetico dei diversi livelli dell’intelligenza ha quindi anche una valenza epistemologica (egli parla infatti di epistemologia genetica), in quanto la comprensione delle sue caratteristiche strutturali nei diversi livelli permette di comprendere non solo come si generano, ma anche qual è la natura di concetti e categorie su cui si fonda il pensiero scientifico. L’epistemologia genetica, scrive, cerca di spiegare la conoscenza ed in particolare la conoscenza scientifica sulla base della sua storia, della sua sociogenesi e soprattutto delle origini psicologiche dei concetti e delle operazioni su cui essa si fonda. Secondo questa prospettiva la netta separazione fra contesto della scoperta e contesto della giustificazione appare infondata. La conoscenza scientifica, scrive, è in continua evoluzione; essa si trova mutata da un giorno all’altro. Ne consegue che non possiamo comportarci come se da una parte avessimo la storia della conoscenza e dall’altra la sua attuale condizione, perché questa condizione attuale non esprime nulla di definitivo e di stabile. Non è quindi possibile prescindere dalla prospettiva storica e psicologica e cercare di individuare canoni atemporali a partire dai quali ogni teoria dovrebbe venire valutata nel suo spessore epistemico: solo nello sviluppo reale delle scienze possiamo scoprire i valori impliciti, le norme che le guidano, le ispirano, le regolano.

Le ricerche di Piaget muovono quindi da una concezione strutturale dell’intelligenza, ma il loro impianto, a differenza di quanto teorizzato dallo strutturalismo antropologico e psicologico (cfr. Lévi-Strauss e Lacan), non prescinde da una prospettiva diacronico-evolutiva, mutuata probabilmente dal funzionalismo del maestro Claparède, secondo il quale il bambino non è un adulto in miniatura, ma è qualitativamente e non quantitativamente diverso dall’adulto, e dall’influenza di Brunschvicg.

Da un punto di vista metodologico egli, individuati i limiti dei reattivi o test e dell’osservazione pura, elabora il metodo clinico, che unisce osservazione e dialogo, nel quale si pongono ai bambini domande e problemi, scartando come poco significative le risposte purchessia e fabulatorie, ma anche quelle che manifestano credenze suggerite o provocate, ed esaminando come significative quelle che manifestano credenze spontanee.  Piaget concepisce l’intelligenza, influenzato probabilmente dalla lettura di James, come funzione adattiva più elevata e plastica rispetto all’istinto ed ai meccanismi abitudinari. Essa è un equilibrio mobile fra i processi, sempre compresenti ma di volta in volta diversamente incidenti, di assimilazione, per cui i dati empirici vengono ricondotti a schemi senso-motori o cognitivi già posseduti, e di accomodamento, per cui gli schemi posseduti vengono modificati perché si adattino a nuovi dati d’esperienza. L’intelligenza è insieme innata ed acquisita, in quanto da una parte vi sono schemi di assimilazione biologica geneticamente determinati, dall’altra questi si modificano e si accomodano nell’interazione con l’ambiente per incorporare nuovi aspetti del mondo. Per evitare l’unilateralità dell’innatismo e dell’empirismo è dunque meglio parlare di una prospettiva costruttivistica. L’intelligenza è dunque una struttura dinamica, cioè è una totalità (gli elementi che la compongono sono subordinati alle leggi proprie della struttura in quanto tale, per cui questa ha proprietà che non appartengono a quelli), un sistema di trasformazioni (non è mai la stessa, ma cambia strutturandosi secondo le proprie leggi di composizione) ed un meccanismo di autoregolazione (tende a conservarsi, generando elementi che rimangono al suo interno o integrando in sé sottostrutture).

L’unità della funzione dell’intelligenza non impedisce che essa, nel suo sviluppo, dalla prima infanzia all’adolescenza, attraverso stadi diversi:

1-     stadio dell’intelligenza senso-motoria (0-2 anni circa), caratterizzata dalla prevalenza dell’assimilazione, pura, generalizzatrice e ricognitiva, e dalle reazioni circolari, primarie, secondarie e terziarie;

2-     stadio dell’intelligenza pre-operatoria (2-7/8 anni circa), dominata dalla percezione, dall’egocentrismo ontologico, dal realismo e dal pensiero magico-animistico-precausale, e divisa in un periodo simbolico e preconcettuale (2-4 anni circa) ed in un periodo intuitivo (4-7/8 anni circa); nel primo compare, a partire dai diciotto mesi, l’intelligenza rappresentativa, segnalata da imitazione differita, gioco simbolico e capacità verbali;

3-     stadio delle operazioni concrete (8-11/12 anni circa), operazioni mentali che sono azioni interiorizzate, sono reversibili e non possono sussistere isolate, ma solo in un sistema di operazioni; in questo stadio vengono acquisite le capacità relative a classificazione, relazione, seriazione, corrispondenza biunivoca, numerazione, oltre alle nozioni di invarianza di massa, volume e peso;

4-     stadio delle operazioni formali (dopo gli 11/12 anni), nel quale si struttura l’intelligenza adulta, caratterizzata dal pensiero astratto, dal ragionamento ipotetico-deduttivo e da quello probabilistico.

Nelle sue ricerche Piaget è stato affiancato da B. Inhelder e A. Szeminska.

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Massimo Dei Cas
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