Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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FELICITA'

La felicità che irride l'infelicità è affettata e miserevole. La vera felicità non irride, non giudica, ma si nasconde, consapevole che non sarà mai perdonata.

Non si pensa che vi fu un tempo di grande felicità, quando persone potevano passare un'intera esistenza senza vedere il proprio volto.

L’inatteso è uno dei nomi della felicità.

La felicità lascia sempre tracce di sé, e ci capita di pensare "E' stata qui... e qui...". Ma chi può dire di averla mai davvero colta in flagrante?

Misurare la nostra felicità su quella degli altri significa perdere la misura della nostra infelicità.

Se gli altri vedono nei nostri occhi la bellezza, siamo capiti. Se gli altri vedono con i nostri occhi la bellezza, siamo felici.

C'è una segreta affinità che lega felicità ed amore: entrambe spengono il bisogno di comparazione.

Nessuno può voler ostentare la propria felicità: con istinto infallibile, chi è felice avverte che la sua felicità non sarà mai perdonata.

Il disprezzo del felice nei confronti dell’infelice è segno inequivocabile della miseria della sua felicità.

Dimenticarsi di sé è la semplice formula di una semplice quanto inaccessibile felicità.

Stiamo costruendo un mondo sempre più occhiuto, ed a questa croce finiremo per inchiodare la nostra felicità.

Ogni dolore ne allevia almeno un altro, ed ogni felicità prepara molti dolori.

Felicità è ciò che non cerchi.

Tendiamo a pensare che si possa essere felici in un solo modo, infelici in molti: in realtà felicità ed infelicità accompagnano il nostro cammino come il passo sinistro accompagna il destro.

Fasulla la felicità che si sente minacciata dall'altrui felicità.

L'ostentazione della felicità è un goffo tentativo di nascondere l'infelicità.

Può darsi che la felicità sia una vita piena; certamente non è una vita riempita.

Ciò che è vago ben si concilia con la felicità, mentre le cose troppo nette la feriscono.

La felicità è pudica ed assai poco appariscente: difficilmente è là dove si pensa che sia.

La grande felicità ed in grande dolore sono accomunati da questo: sono il tempo nel quale si percepisce, come una pulsazione, ogni accadere.

Non è così scontato che la strada per la felicità sia quella della cura di sé, e non piuttosto del disprezzo di sé.

La felicità non sfugge a quell'intreccio di paradossi che è l'umana esistenza: da una parte essa è un compito, un dovere, un merito, dall'altra difficilmente viene perdonata.

Malinconia, sorellastra di felicità.

Gli infelici ci fanno paura, i felici ci danno fastidio.

L'infelicità di un uomo è in buona parte legata alla rappresentazione delle molteplici (e presunte) possibilità di felicità che gli sono precluse. Questo agli animali viene risparmiato.

Della tua infelicità puoi fare un sacco di cose: un'arma per colpire, una scala per salire, una scusa per rinunciare.

Felicità è poter credere che le persone care vedano non solo nei nostri occhi, ma anche con i nostri occhi la bellezza che noi vediamo.

Da una stessa sorgente sgorgano la più tersa felicità e l'angoscia più profonda, lo sguardo dell'altro.

Semplici formule per una semplice felicità ci regala l'esperienza comune, come un impegno gravoso saltato all'ultimo momento, ed il gusto del tempo liberato che ci lascia come piccola e felice eredità.

La felicità, come il dolore, l'allegrezza o la tristezza, resta, spesso, come impalpabile eco di pensieri persi.

Poter sapere quello che desideriamo sapere, senza per questo soffrire: ecco la formula di un'impossibile felicità.

Siamo davvero felici quando non sentiamo il bisogno di dimostrare a noi stessi ed agli altri che la nostra è la vera felicità.

Una delle gioie più profonde è rinnovare, ripristinare, ripulire, rigenerare le cose: vi scorgiamo la segreta promessa che anche la nostra vita potrà essere indefinitamente rinnovata e rigenerata.

La maggior parte degli uomini non aspira alla felicità, ma ad una felicità che non sfiguri a fronte di quella degli altri.

Crediamo ci renda felici che gli altri esaudiscano i nostri desideri. Ma il sogno più grande è che li indovinino.

L'essenza dell'arroganza voler dare la misura della felicità.

Le gioie della trasgressione sono una cambiale destinata ad essere protestata.

La felicità è ritrosa più di ogni altra cosa umana: mal sopporta lo sguardo nostro o altrui.

Nulla ferisce quanto la felicità possibile, nulla risana quanto la felicità immaginata.

Se piacere diventa il piacere, consegniamo agli altri le chiavi di ogni possibile felicità.

Misterioso quanto vuoto è il risarcimento di felicità promesso dal punire.

Felice non è l'emozione, ma il tempo in cui essa è assente.

Poche cose ci rendono più felici della sensazione che le circostanze, o qualche altra metafisica potenza, ci regalino del tempo.

Veramente infelice non è chi è distante dalla felicità, ma chi la vede ad un passo, senza saper compiere quel passo.

Non c'è nulla che deprima maggiormente una possibile felicità dell'imperativo sociale ad essere felici.

Per essere davvero felici dobbiamo resistere alla tentazione di volgere lo sguardo alla nostra felicità.

Dimenticare se stessi ed essere dimenticati, oppure fare di tutto perché anche dopo la morte il nostro ricordo resti vivo: ecco due antichissime ed antitetiche scuole di saggezza sull'enigma della felicità.

Se è essenziale, per la nostra felicità, l'altrui giudizio possiamo ben disperare di essere felici.

Contro i pessimisti: bisognerebbe pensare che la stima di infelicità e felicità non può che essere falsata dal fatto che la prima viene ostentata, esagerata, dichiarata con rabbia e spirito di rivalsa, mentre la seconda, se davvero è tale, è nascosta gelosamente allo sguardo cattivo (cioè, etimologicamente, all'invidia) degli altri.

C'è da prendere sul serio la domanda se sia ancora decente essere felici: la felicità è intessuta di incoscienza, ed oggi l'incoscienza è sempre più complice della malvagità. Una complicità difficile da giustificare.

E' profondamente consolante poter dire: "Ho fatto tutto il possibile". E' addirittura un dovere che ci vien posto nelle incertezze, nelle difficoltà. Ed infine è un segno, che non decifriamo, della nostra profonda voracità.

Felicità è distogliere lo sguardo da se stessi.

Gli uomini in genere si immaginano innumerevoli possibiità di felicità. Credono che potrebbero essere felici se accadesse questo e quest'altro. Si sbagliano, senza saperlo, per cui sono infelici per qualcosa che è un nulla.

Lascia che la vita scorra, ascoltala, non volerla riempire: ti sentirai felice, e forse lo sarai anche.

Chiamando infelici le persone in particolare difficoltà riveliamo insieme presunzione, perché presumiamo di essere più felici di loro, e prepotenza, perché l'infelicità è diventata una colpa morale di cui, prima o poi, questi verranno accusati.

Creare è far nascere, gioia, innanzitutto.

Segno inequibocabile di profonda infelicità è il disprezzo della felicità altrui.

Chi è sicuro della propria felicità non disprezza né commisera chi la cerca su vie diverse.

Modesto risarcimento di una felicità impossibile è il breve sollievo della punizione.

E' ben difficile considerare il costante proporci allo sguardo altrui come la felicità, ed anzi questo ci espone al dolore più crudo. Eppure questo cerchiamo, insistentemente ed insensatamente, attraverso quei social-media con i quali ci viene servita la quotidiana razione d'inferno.

Quando siamo nel dubbio se definire felice od infelice l'esistenza umana, ricordiamoci che l'infelicità è molto più contagiosa della felicità.

L'inno alla gioia è l'inno stesso della nostra modernità: le note squillanti salutano il nuovo imperativo assoluto a gioire, esser lieti, innalzare lo spirito, perché Dio stesso vuole il cuor contento e lo aiuta. I tristi sono tristi (l'uomo triste è anche tristo), la malinconia è viltà, l'umor nero è patologia e sociopatia, mentre lo stolido sorriso è il color roseo della buona salute. Un giorno, forse, da una differente altura dello spirito, qualcuno scorgerà la tetra insensatezza di questa dittatura dell'euforia.

Felicità è riuscire a sottrarci allo sguardo ossessivo di noi stessi.

La felicità non cerca comparazione.

Felicità è smarrire l'io fra le cose. Infelicità aggirarsi nella prigione dei suoi confini.

Piccola felicità è un impegno gravoso saltato all'ultimo momento; massima felicità è un appuntamento con la morte saltato all'ultimo momento.

Per essere davvero felici non possiamo non essere malinconici: solo così possiamo sentirci almeno un po’ protetti dal sentimento della minaccia che la felicità ci venga tolta (sentimento che si genera con la felicità stessa).

La felicità di questo mondo è in gran parte affettazione di felicità.

Nel pianto c'è anche una liberazione, perché finalmente doniamo indulgenza a noi stessi.

Nelle metafore misuriamo quanto grande sia il potere della regressione. Diciamo, ad esempio, che la notte scende, non sale, come se fosse una confortante coperta.

La felicità sono i rivoli del tempo che non si ricongiungono.

Anche la filosofia ha conosciuto un'infanzia felice e lunghissima, segnata dalla radiosa convinzione ciascuno ricerchi la felicità e che la ricerca dell'autentica felicità promuova anche la felicità altrui.

Segno della felicità è la pietà verso l'attimo: non si chiede che esso debba dare tutto quel che può dare.

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