Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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FILOSOFIA

Scambiare la suggestione filosofia per comprensione filosofica è ridicolmente patetico; pensare di poter raggiungere un'autentica comprensione filosofica è ridicolmente presuntuoso. Frequentare la filosofia significa, dunque, non avere il senso del ridicolo.

Etica è risvegliare il senso del limite quando sembra si apra un territorio sterminato.

La filosofia è l'unico sapere nel quale nulla è ovvio, neppure il concetto di ovvio.

La sentenza del vegliardo Parmenide sull'impossibilità di pensare il nulla resta intatta nella sua verità solare. Soprattutto se consideriamo l'impossibilità di pensare il nuilla in rapporto a noi, anche per agioni grammaticali: lo stesso affermare "di noi non sarà più nulla" ci sottrae comunque al nulla, consegnando il nostro essere ad un pronome.

La felicità è la realtà più discreta, e per amore di discrezione malsopporta di essere cercata; per questo cercare la felicità è il modo meno sicuro di trovarla.

C'è chi fa della filosofia una propria prerogativa od appannaggio, chi ne fa una professionee, chi un vezzo, chi un culto. C'è, infine, chi cerca di farsi una propria filosofia.

I filosofi appiano spesso un po' come bambini, vuoi perché dicono cose che si pensa sia sconveniente o inutile dire, vuoi perché vedono cose che solo loro sembra possano vedere, un po' perché sono molto compiaciuti ed incantati del loro dire e del loro vedere.

Contro la consolante convinzione aristotelica (decidere di non fiosofare è anch'esso filosofare) bisognerebbe che la filosofia prendesse sul serio l'esistenza di una visione davvero a-filosofica dell'uomo e del mondo. L'a-filosofia dei tempi nostri (ma probebilmente non solo) poggia su tre pilastri: ormone è ciò che siamo e detta le nsotre scelta; emozione è ciò che ricerchiamo; utilità sociale è ciò che orienta le regole che ci diamo.

C'è una profonda solidarietà fra la morte e la vita. Poniamo che il progresso della scienze consentisse agli uomini di diventare immortali: ben presto la possibilità del pianeta di ospitare nuova vita umana si saturerebbe. A quel punto, chi vorrebbe rinunciare all'immortalità per lasciare spazio a nuova vita?

Il principio di autorità, per cui l’autorevolezza di una persona conferisce un valore essenziale alle sue affermazioni, dovrebbe appartenere ad una filosofia ancora profondamente infantile. Eppure anche quando si parla di filosofia un ricco corredo di citazioni è sempre considerato un punto di forza del discorso.

La filosofia è la convinzione matta e disperata che le questioni della verità e del bene si decidano a partire dall'individuo (pensato in universale) piuttosto che dal gruppo, dalla comunità, dalla massa.

I filosofi rifuggono con uguale orrore da due estremi: dire cose che già tutti sanno e dire cose che pochi possono capire; loro terreno elettivo è la caccia di verità cui tutti possono accedere, ma non senza la mediazione del loro sguardo.

Puoi indovinare la povertà sociale della vita dei filosofi dal loro ottimismo sulla natura umana.

Un problema che tutti considerano tale non è un problema filosofico.

Gli intellettuali pensano di pote scontare il loro senso di superiorità rispetto ai non-intellettuali simpatizzando e fraternizzando intellettualmente con questi.

Non vediamo il disegno complessivo delle nostre innumerevoli architetture che mettono ordine qua e là fra le cose umane, ma pensiamo che debba esistere un ordine, anche se non possiamo del tutto sopprimere il sospetto che il tutto sia il caos.

Nell'evoluzione del concetto di Dio finiremo per considerarlo il nostro pubblico.

Fra la prospettiva di un'eutanasia e quella di una sopravvivenza assistita la filosofia ha scelto questa seconda possibilità: spossessata della ricerca dei fondamenti, in un mondo in cui ogni spiegazione sull'umano viene ricondotta alla biochimica del cervello, la filosofia sopravvive come una forma di saggezza, rispettata per la nobiltà della genealogia e la fascinazione dei toni.

I filosofi d'un tempo si sentivano spaesati un po' ovunque. Quelli di oggi si sentono ovunque a casa loro.

Bisogna pur avere un atteggiamento di pietas verso la filosofia, così come si onorano genitori il cui senno vacilla.

Se la storia è maestra di vita, la natura è maestra di tutto e del suo contrario.

Ci sono persone che devono vedere per credere e persone che devono credere per vedere.

Solo un pensatore può capire un altro pensatore, ma solo un pensatore onesto potrebbe volerlo fare.

Se esiste, come dovrebbe esistere, una filosofia della filosofia ciò significa che la filosofia è un infinito gioco di specchi.

I filosofi, forti con i deboli e deboli con i forti, hanno sempre vissuto con molta soggezione il confronto con le scienze, che non sanno ben comprendere, mentre hanno assunto un atteggiamento di grande supponenza nei confronti delle arti, che invece pensano del tutto alla portata del loro giudizio. Per questo da loro, soprattutto, è nata la bizzarra concezione del valore conoscitivo dell'arte, che dovrebbe rappresentare la realtà, evidenziarne problemi, difetti, crepe, ed avere addirittura la valenza di edificazione o denuncia. L'arte è invece la dimensione nella quale l'uomo si svincola dalla triste e dolorosa signoria della realtà, guadagnando, attraverso una sembianza derealizzata di realtà, una delle possibili forme di felice sollievo da questo dolore.

Il tema del tempo, più di ogni altro, mostra quando i cammini di filosofia e scienza si siano negli ultimi due secoli almeno profondamente divisi. Mentre la filosofia ne ha fatto il cardine del nuovo pensare storico, assumento la temporalizzazione come unica chiave interpretativa dell'umano, la scienza lo ha privato dello status di dimensione assoluta ed universale, degradandolo a dimensione fisica accanto alle altre, relativizzandolo ed addirittura insinuando che le equazioni esplicative delle leggi fisiche potrebbero frane a meno.

La lunga marcia di allontanamento dalla magica commistione di pensiero e realtà ha subito un'impensabile mutamento di direzione, ed i più moderni venti filosofici ci sospingono verso una nuova inaspettata saldatura.

Protagonista, in filosofia, è l'uomo pensato in universale, mentre nella realtà protagonisti sono gruppi, comunità, masse.

Non si può essere onestamente devoti alla filosofia senza provare qualche volta un onesto fastidio nei suoi confronti..

La natura è, per definizione, tutto ed ovunque, ma noi ne costruiamo un'immagine materna di fronte alla quale ci facciamo bambini, ansiosi di ricevere risposte e significati, scrutando ogni suo cenno come se fosse un destino, una destinazione, un fato liberante anche se disumano, una punizione, perfino, purificatrice e rigeneratrice. Non ha voce, ma crediamo di scorgerne il linguaggio in ogni anfratto dell'accadere. Da madre natura attendiamo, infine, che faccia il suo corso, e questo ci fa sentire ancora innocenti, piccoli di fronte al suo sguardo severo ma giusto. In una parola, irresponsabili.

L'inizio del lento quanto inesorabile tramonto della filosofia si ha, forse, con Kant, che suona la campana a morto per un pensiero non all'altezza di una repubblica della scienza dove la concordia è la regola, il dissidio l'eccezione.

Vi sono filosofi per i quali se il lettore capisce poco o nulla di quanto scrivono è un problema suo, e filosofi che pensano il contrario. Tutti capiscono che i secondi, se fossero accolti nelle storie della filosofia, rischierebbero di diventare di gran lunga più popolari.

Quando lamentiamo un caos senza logica ci può sfuggire che in realtà è frutto di una molteplicità di logiche contraddittorie.

La natura sarà pure matrigna, ma è da molti assunta a dea madre onnipotente, dispensatrice di una legge la cui sacralità è empio disconoscere. Che la natura faccia il suo corso e ripristini il suo imperio è il primo comandamento di una religione senza tempo, una religione dell'orrore.

Quando i principi disprezzano l'esperienza, l'esperienza si vendica sgretolandoli.

E' degno di nota che tutte le riflessioni filosofiche, sociologiche, politiche e biologiche sui diritti del più forte o sulla sopravvivenza del più adatto finiscano in contraddizioni o vuote tautologie. Se, per esempio, affermo che il più forte merita di prevalere sul più debole, mi espongo all'obiezione che il più forte non è poi così forte, se di fatto non prevale; se, d'altro lato, affermo che è sempre il più adatto a prevalere nella lotta per la sopravvivenza, è come se affermassi che è sempre il più elevato rispetto alla terra a prevalere in altezza, in quanto, per definizione, più adatto è appunto chi si dimostra tale sopravvivendo a scapito di altri.

Una disincantata quanto radicata scuola di pensiero, da più di un secolo a questa parte, vuole l'uomo interamente agito dal linguaggio e da strutture che lo costituiscono da testa a piedi. Lo vuole quindi irrilevante, un effetto di superficie sopra un oceano abissale. Sarebbe però interessante chiedersi da quale gioco linguistico siamo agiti quando affermiamo di essere agiti da un gioco linguistico.

E' impossibile che un filosofo, in cuor suo, non si senta appartenente ad una forma superiori di umanità, ma è anche dignitoso che provi almeno un po' di disagio per questo.

Per molti (filosofia compresi) la realtà è un po' come quelle persone che pensiamo di poter ignorare, diffamare e deridere a piacere, domandandoci addirittura se veramente esista, ma il cui sguardo, quando la incontriamo, neppure riusciamo a sostenere.

La filosofia può anche essere consolante, ma è sopratutto estenuante, perché ci attende al varco di ogni concetto ci capiti fra le mani.

La filosofia assume talora quella sua certa qual aria di profondità non perché proponga riflessioni realmente difficili, ma perché propone riflessioni che la gente di solito non pratica. Il buon senso pensoso spesse mette in seria difficoltà la superficialità filosofica.

Fin dalla sua nascita alla filosofia si è accompagnato il sospetto della sua inutilità, interpretato ora come segno di nobiltà, ora come marchio di artificiosità.

Due, forse, le grandi famiglie filosofiche; da una parte le filosofie consolatrici, che consegnano il pensiero ad una dimensione sottratta all'orrore del quotidiano; dall'altra le filosofie che restano fedeli alla missione di difendere fino all'ultimo la trincea della realtà, qualunque cosa essa sia.

Nietzsche è il primo caso notabile di ispirato profeta ateo.

I filosofi della contemporaneità appartengono a categorie assai diverse, forse, fondamentalmente, tre: i filosofi-brand, che coltivano il loro marchio anche attraverso i canalità della notorietà mass-mediale, i filosofi eruditi, che coltivano lo sterminato campo delle interpretazioni dei testi del passato, i filosofi monaci, che coltivano nel nascondimento la speranza di trovare qualche nuova ed inesplorata strada versom la verità.

L'essere umano, non solo di genere filosofico, ha sempre mostrato il massimo interesse per la categoria della causa, concependola, però, al singolare, laddove l'esame della realtà non smette di mostrarci quanto complessa sia la compagine delle cause connesse con un singolo evento. La concezione della causa al singolare rivela non solo la tendenza alla semplificazione, ma anche la sua genesi morale: la causa era strettamente intrecciata, in origine (e lo è in buona misura ancora) alla colpa, e quando cerchiamo il colpevole abbiamo bisogno che sia ben identificabile e che la colpevolezza non si disperda in troppi rivoli.

L'urbanizzazione della filosofia dei tempi recenti (ed anche meno recenti) l'ha ridotta a miti consigli, ed ha reso miti i suoi consigli.

La filosofia vive oggi amministrando con parsimonia il patrimonio di autorevolezza accumulato nei secoli.

Nulla più delle riflessioni sul tempo mostra la divaricazione profonda fra il cammino della filosofia e quello della scienza negli ultimi due secoli. L'antico nemico di ogni metafisica, il tempo, appunto, viene riaccolto come figliol prodigo sotto la suggestiva veste dello spirito: il tempo non è solo cieco scorrere, ma sviluppo dello spirito, e lo spirito del tempo è l'onnipotente orizzonte del nostro pensare ed agire, nella metafisica hegeliana così come nel sentire diventato senso comune. La storicità dell'umano è il primo dogma di ogni pensiero filosofico all'altezza dei tempi. Ma, nel frattempo, la scienza comincia a sospettare che il tempo non debba godere di tutti i privilegi accordati dalla fisica newtoniana, e con Einstein ne fa una dimensione accanto alle tre dimensioni spaziali, dimensione relativa, non assoluta. I fisici più recenti lo degradano addirittua ad una sorta di effetto di supercie: niente di più umiliante, per l'indiscusso maitre di ogni saggezza.

I filosofi del Novecento sembrano una multiforme famiglia di necrologisti.

La profonda malinconia della filosofia del presente è che, appena riavutasi dal lutto della perdita del primato nella conoscenza della natura (sottratto dalle scienze natutali), deve ora sopportare il più gravoso lutto della perdita del primato nella conoscenza dell'uomo (e qui somo le scienze umane ad aver inferto la ferita).

Quando un filosofo viene citato viene citato anche di fronte al tribunale che lo condanna (in contumacia incolpevole) ad essere usato per le cause più disparate.

La psicologia, attenta a tutti gli aspetti ossessivo-compulsivi del comportamento umano, non si è abbastanza dedicata allo studio della spiegazione ossessivo-compulsiva di ogni dimensione umana in una chiave psicologica.

La filosofia agonizza da almeno un secolo per gli effetti di una duplice terribile ferita. Della questione dell'essere, innanzitutto, pare impossibile venire a capo, per una serie di seri motivi, la pluralità dei suoi significati, la mediazione linguistica, il bilancio fallimentare di oltre due millenni di pensiero metafisico. Ma quand'anche potessimo affermare qualcosa di incontrovertibile sull'essere, non ce ne verrebbe granché, dal momento che ogni riferimento ai valori, cioè a quel che più ci tocca, pare, da un paio di secoli almeno, fondato non sull'essere, ma sull'umana volontà, che di certo in qualche modo all'essere è legata, ma non è l'essere.

Il dubbio è la nobiltà del pensiero, e si concede lussi che solo la nobiltà si può concedere.

In ogni sguardo abitano pregiudizi, ma i filosofi sono sempre stati convinti che il loro occhio li rendesse immuni da ciò; perché, tuttavia, non dovrebbe essere anche questo un pregiudizio?

I teorici dell'evoluzione naturale parlano di caso (le mutazioni casuali) e necessità (l'affermazione delle mutazioni favorevoli alla sopravvivenza). Caso e necessità, però, sono due pseudonimi dietro i quali si nasconde un'unica realtà, la probabilità. Ma anch'essa è uno pseudonimo, dietro il quale si nasconde qualcosa che non sappiamo.

Tre definizioni di cultura, in altrettante epoche: cultura è ciò che un piano oggettivo di valori definisce come tale; cultura è ciò che ciascuna cultura definisce come tale; cultura è ciò che ciascuno (o ciascun gruppo) definisce come tale.

Di cosa parlano, oggi, i filosofi? Del mondo fisico non possono, essendo sempre più incapaci di comprendere gli sviluppi delle scienze naturali (anche se non lo dnano a vedere); del mondo umano potrebbero, ma sono ridotti ad una sempre più timida sudditanza dalle nuove scienze dell'uomo (che ricordano loro, fra l'altro, come l'uomo sia anche un frammento di mondo fisico). Parlano, dunque, soprattutto di se stessi, delle loro questioni di famiglia e dei loro alberi genealogici.

Si dice, per dileggio: "La filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale il mondo resta tale e quale". Il mondo, forse. Non di certo l'uomo.

“Mia filosofia”: per un greco significa “una sola filosofia”, per un italiano “la mia filosofia”, per un filosofo entrambe le cose insieme.

L'umiltà è la prima virtù della filosofia (ma non dei filosofi), perché dove essere disposta a farsi prendere a schiaffi ogni giorno dalla realtà.

Per quanto discredito si possa gettare sulla filosofia, i suoi detrattori meritano decisamente ancor meno credito.

Pensare che l'appello alla natura possa servire alla causa dell'umanità e della civiltà è dissennato: dalla natura si possono trarre (e di fatto si sono tratti) i principi della più spietata disumanità.

La folgorante intuizione di Rousseau è che principio di ogni corruzione sia pensare che qualcosa si possa piegare alla nostra volontà.

Il principio tomistico "quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur" ha fatto tanta strada nella cultura contemporanea da consegnare il significato di ogni messaggio al pubblico indefinito gioco delle interpretazioni. L'origine, cioè l'integrità del messaggio nella comprensione di chi l'ha diffuso resta un riferimento tanto consolante quanto nascosto in una lontananza infinita.

Il problema della filosofia oggi non è che gli uomini non sanno cosa farsene, ma che essa stessa non sa cosa farsene degli uomini.

Sei filosofo se le tue affermazioni di buon senso ottengono l'omaggio dell'universale citazione.

La prosa filosofica appare spesso un gergo oscuro, ma, più probabilmente, è una promessa mai onorata di scampoli di verità.

La conoscenza di molti filosofi (della loro miseria umana) è una confutazione, non logica, ma potente, della loro filosofia.

La morte dell'uomo, officiata da tanta parte della cultura novecentesca, si riassume in un epitafio: la logica di apparati, strutture e sistemi è sottratta ai progetti ideali ed alla stessa consapevolezza dell'uomo, che alla fine soccombe vittima di un'insignificanza che neppure può essere pietosamente inconsapevole.

Il 700 è stato il secolo della ragione, l'800 della storia, il 900 del linguaggio. Il XXI secolo sarà forse il secolo senza vocazioni.

Quali siano i confini dell'umano ma soprattutto chi e su quale fondamento li tracci: ecco un tema che la filosofia non dovrebbe mai smettere di considerare essenziale.

Sartre disse che l'inferno sono gli altri, Wittgenstein replicò che l'inferno siamo noi stessi, ma fra le due affermazioni vi è molta più implicazione che contrasto.

I filosofi hanno pensato, voluto ed organizzato l'ecumene del logos, enciclopedia dei saperi raccolti attorno alla ragione filosofica. Un'ecumene mai del tutto pacificata, che però nei secoli ha tenuto, fino alla defezione delle scienze, che se ne sono andate portandosi via il tesoro più prezioso, la ragione davvero ecumenica. Ai filosofi resta lo sguardo originario, adamitico. Ma se l'Adamo biblico fu uno, i suoi emuli filosofici sono una molteplicità discorde.

La clericalizzazione della filosofia fa tutt'uno con la sua stessa storia: occuparsi di filosofia è stato inteso come appartenere alla filosofia ed appartenere ai suoi. Ciò ha molto a che vedere con la filosofia, ben poco con la verità.

Secondo Kierkegaard l'eclisse della fede coincide con lo smarrimento del senso della colpa, per cui se siamo colpevoli di fronte a Dio, lo siamo infinitamente. Oggi la notte ne ha fatta di strada. L'oscurità è così densa che ci si accontenterebbe di una fede che non avesse smarrito il puro e semplice senso della decenza.

"Eadem sed aliter", la storia mette in scena in fondo sempre la medesima vicenda, ma in forme differenti: questa la convinzione di Schopenhauer. La forma differente, però, oggi fa una bella differenza, perché la velocizzazione delle comunicazioni e dei processi rende quella medesima vicenda qualcosa di profondamente diverso.

Nel tempo della moltiplicazione e specializzazione dei saperi cresce la solitudine filosofica, dal momento che solo per finzione si può dire che anche il sapere filosofico è passibile di specializzazione senza diventare doppione della riflessione critica che ciascun apere può benissimo sviluppare da sé e in sé.

Il concetto di malattia mentale è di per sé estremamente delicato e problematico. Quello di disturbo di personalità rasenta il paradosso: perché dobrebbe riferirsi ad una personalità disturbata piuttosto che disturbante?

La filosofia divenuta fenomeno di costume ha lo stesso impaccio di un nobile decaduto che si smarrisce nella contesa fra le saggezze mondane.

La scienza crebbe dentro l'ampio e nobile alveo della filosofia. Se ne separò tanto profondamente che oggi nella comunità scientifica la concordia è la legge, il dissidio l'eccezione, mentre nella comunità filosofica (posto che esista) vale in contrario. Cosa voglia dire questo in rapporto al problema della verità è controverso: gli scienziati si assegnano la serietà del cammino verso la verità, i filosofi, al di là di un vago diritto di primogenitura, non affermano neppure su questo alcunché di concorde.

Profondo pessimismo non è pensare che le cose vadano verso il male, ma che le cose non vadano da nessuna parte.

"Per quale motivo dici quello che dici?" è la domanda dello spirito psicologico.
"Per quale scopo dici quello che dici?" è la domanda dello spirito economico.
"Chi sei tu che dici quello che dici?" è la domanda dello spirito religioso.
"A partire da che cosa dici quello che dici?" è la domanda dello spirito filosofico.

Eraclito è stato rappresentato come il filosofo che piange, forse per la tonalità profondamente dolente del suo pensiero. Questa è legata alla concezione dei contrari, che, tragicamente, eternamente si implicano ed eternamente confliggono. Un altro aspetto, assai meno notato, esperime però una tragica contraddizione: il "logos" è ciò che davvero accomuna gli uomini, perché identico in tutti, ma anche è ciò che solo pochi uomini sanno usare, i pochi "desti" contrapposti ai molti "dormienti". Quindi ciò che potrebbe legare gli uomini è anche ciò che questi più di tutto ignorano. Il pianto di Eraclito lamenta la solitudine della ragione.

Siamo ancora, in tutto e per tutto, eredi della civiltà greca. Consideriamo la contesa madre e signora di tutte le cose, nella guerra come nella ricerca della bellezza e della verità. Andiamo fieri della superiorità della nostra civiltà perché giudichiamo ripugnante che un uomo si prostri ai piedi di un altro uomo omaggiandolo come signore, ma ci inchiniamo a potenze cui neppure sappiamo dare un nome. Giudichiamo la bellezza ed il valore di una persona dal tono delle sue natiche.

La nobiltà della filosofia risiede nel suo costante e radicale mettersi in discussione; la sua miseria consiste nel compiacersi di questo.

Se davvero esistessero intelligenze aliene, il loro punto di vista sull'umanità sarebbe quello propriamente filosofico.

Non ci vuole molto perché la supponenza dei filosofi scivoli nel servilismo verso ciò che non comprendono bene o non comprendono affatto.

La filosofia ha corteggiato la religione molto più di quanto questa abbia fatto con quella. Ed in realtà nella filosofia rigorosamente intesa vi è un profondo valore religioso, perché essa impone la ricerca della verità al di sopra di ogni altra cosa, e con questa la radicale messa in discussione di ogni forma di privilegio e predilezione per il proprio io, in nome di una prospettiva universale. Il che non è lontano dal senso dell'evangelico "perdere la propria vita".

Il sogno dei filosofi: lo sguardo di Adamo. Il sogno di Adamo: uno sguardo filosofico.

Ciò che forse tolse il senno a Nietzsche fu il terribile sospetto di un futuro dominato da un superomismo di massa, cioè dalla moltiplicazione di omuncoli privi di cattiva coscienze e senso di colpa, ed insieme della capacità di costruire qualcosa di grande.

Per quanto possa essere forte il bisogno di partire dai fatti, non si riesce a trovare un fatto che non sia tale alla luce di un reticolo di teorie (su cosa sia la veglia, su come funzionino gli organi di senso, su come funzionino gli strumenti di rilevazione,...).

Un filosofo è un pensatore che si appassiona a domande del tipo: "Resterebbe vero il teorema di Pitagora se nell'universo non vi fosse alcuna intelligenza?"

Lo spirito è la debole fiamma che ci pare di scorgere, realtà o desiderio che sia, nel denso buio della natura e della cultura.

La filosofia non crede più di trovare fondamenti, quand'anche questi sussistano da qualche parte. Per riprendersi dal profondissimo sconforto in cui è caduta si è data alla rappresentazione della realtà, inventandosi un talento pittorico che le deriverebbe dal possedere uno sguardo particolarmente acuto sulla realtà. Il filosofo si presenta come nuovo veggente, non delle cose che non si vedono, ma di quelle che cadono sotto i nostri occhi.

Il pensiero della complessità ci insegna che è ingenuo leggere la realtà secondo il modello delle catene causali, cercare ciò una singola causa o un insieme di cause come determinanti di ciò che accade, tanto è complesso l'intreccio delle interazioni che pongono in essere ogni singolo fenomeno. Ma nella rappresentazione comune l'antico modello causale è destinato a sopravvivere, perché è tanto irriducibile quanto il bisogno umano di cercare, dietro le cause, le colpe.

Che la conoscenza migliori non solo materialmente, ma anche moralmente la condizione umana è una delle convinzioni fondanti dell'Illuminismo. Che essa sia vera o sia solo un mito la storia non l'ha ancora hiaramente dimostrato (e forse non lo potrà dimostrare mai).

Paradosso della contemporaneità: aumentano gli strumenti per conoscere la realtà ed insieme l'insofferenza verso la conoscenza della realtà.

Per una curiosa inversione, mentre un tempo vi era consenso sui fatti e disputa sui principi, oggi i principi mettono tutti d'accordo, mentre è sui fatti che si apre il dissidio.

Nella filosofia vive spesso lo spirito della buona massaia, che per ogni cosa trova il giusto posto e per ogni posto la cosa che meglio vi si addice.

Vero materialismo pensare che esista solo la materia, o desiderare solo la materia e su essa tener fisso lo sguardo, ma vivere tutto ciò senza disagio.

La resa (senza l'onore delle armi) della filosofia inizia con la teorizzazione dello spirito dei tempi.

L'insegnamento della filosofia ha tenuto viva la sua memoria, ma non ha giovato alla sua fama.

Si è detto dello stupore che da esso origini la filosofia; dal doloroso stupore, però, piuttosto che dall'incanto.

La realtà si presenta innanzitutto nella forma di fitta lancinante.

Il dolore introduce al pensiero dell'assoluto.

Ci sono attimi che vorremmo trattenere perché vi riluce l'eterno. Eppure se ne vanno per sempre, anche dalla nostra memoria.

Uno degli aspetti più paradossali del pensiero hegeliano è che fa dell'elemento fodante della modernità, banalmente assunto da tutti come verità incontestabile, l'elemento generatore di testi filosofici fra i più difficili (l'interprete Haering affermava che è un segreto di pulcinella fra gli interpreti di Hegel che non esiste una sola pagina hegeliana che qualcuno sappia spiegare per intero). La verità generatrice del pensiero moderno, che è sopravvissuta alla stessa post-modernità, è che a nulla vale contrastare la forza e lo spirito del tempo. Ciascuno si avvale di questo assunto quotidianamente, come di una ovvietà. Nel pensiero hegeliano ciò vale perché la Ragione insieme fa e si fa nella storia come Spirito Autocosciente nella cultura umana. Quindi ogni tempo ha il suo Spirito ed è qesto Spirito, cui resistere è semplicemente inessenziale.

Socrate rappresente l'esperienza della senescenza del pensiero, intesa non come decadenza, ma come consumata esperienza di lavoro sui concetti che, lungi dal renderli più chiari, li avvolge di una nebbia che ne rivela solo gli incerti contorni.

La filosofia non potrà mai perdonare alla psicologia di aver mostrato quanto relativamente semplice e manipolabile sia la realtà della mente umana.

Considerare la necessità come un fatto fra i fatti o il più inesplicabile degli enigmi fa la differenza fra considerazione non filosofica e filosofica della realtà.

Ciò che differenzia massimamente la contemporaneità filosofica dalle età precedenti è che oggi la maggiore preoccuipazione dei filosofi è mostrare di aver letto molti testi filosofici ed il circuito dei dibattiti filosofici è un circuito di testi molto più che di elementi di realtà (non testuale). La stessa realtà non testuale viene interpretata come testo.

Se il sonno della ragione genera mostri, l'eclisse della sacralità dei fatti li alimenta.

La forza del concetto di natura è legata alla sua insolubile ambiguità: la nostra natura, infatti, è, insieme, ciò che siamo e ciò che dovremmo essere. E l'un lato viene giocato contro l'altro, in un circolo senza fine.

Ogni vera filosofia deve prima o poi fare i conti con il concetto di esperienza, in apparenza il più ovvio, in realtà il più difficile. L'esperienza di uno solo può dirsi tale? E di due soli? E di tre soli?

La natura è la maschera deforme con la quale dissimuliamo le peggiori nefandezze.

Keynes riteneva che fossero le idee e non gli interessi a fare la storia: il che può essere rassicurante, ma anche agghiacciante.

La natura è il ricettacolo della nostra impotenza: se non avessimo limiti, la congederemmo.

Il crepuscolo dello spirito lo trasforma nella grottesca caricatura dell'energia.

La filosofia ha pensato l'uomo come soggetto, come io, ma la sua natura è molto più legata al noi.

Filosofia è ogni viaggio oltre i rassicuranti confini dell'ovvio, con il viatico di una profonda nostalgia dell'ovvio.

La famosa scommessa di Pascal ha un lato debole: come si può affermare che il paradiso realizza la massima felicità, se non vi troveremo tavoli da gioco?

Elaborare un lutto è un'assurdità: o lo si rimuove interamente, o lo si conserva con devota fedeltà, o entrambe le cose con andamento oscillante.

C'è solo da lodare la filosofia per le domande che scorge laddove non sembra esservi domanda alcuna; c'è solo da compiangerla per le risposte che crede di trovare.

L'antichissima alleanza fra filosofia e scienza è in crisi. Ciò nuoce tanto alla filosofia quanto alla scienza.

Di immaginazione si alimenta la filosofia che ha qualcosa da dire all'uomo: immaginare cosa accadrebbe se le cose fossero davvero diverse getta una luce davvero nuova sulle cose come di fatto sono.

La forza del pensiero critico consiste nel saper trattenere la barbarie; la sua debolezza nel saper trattenere la decisione.

Il superlativo è la condizione di possibilità del comparativo: questo il compendio grammaticale del Platonismo.

Secondo la parola della filosofia (Kierkegaard) l'esteta seduttore è in realtà un disperato in disperata fuga da se stesso; secondo la parola della psicologia è in realtà un narciso innamorato di sé. Difficilmente sono vere entrambe le cose.

La filosofia deve pensare fino in fondo la possibilità, non tenerla al guinzaglio della realtà. Pensarla come possibilità di una realtà senza traccia di ordine e regolarità, come possibilità che non deperisce perché mai realizzata, e chiedersi cosa ciò voglia mai dire.

Filosofia è resistere alla cialtroneria dei fatti, senza però mai prendere congedo da essi.

Il 700 è stato il secolo della ragione, l'800 quello della storia ed il '900 del linguaggio. Il XXI secolo sarà forse quello delle neuroscienze.

La filosofia da tempo sconta con il suo tono malinconico la crisi dei fondamenti; la poesia ha lasciato in un canto rime e metri; la musica classica si è svincolata dal riferimento essenziale alla tonalità. Tutto questo è smarrimento o progresso?

E' ben triste lo spettacolo dei figli che si appropriano senza riguardo del patrimonio dei genitori. Così è per la scienza, la psicologia e la pedagogia nei confronti della filosofia. Un tempo questa regnava sovrana sul territorio del dover essere (morale, non giuridico): ora maestri di sapienza, moralità e vita sono scienziati, pedagogisti e psicologi.

La fama di Socrate è legata all’aver messo a fuoco meglio di ogni altro la condizione umana, la condizione di quell’essere che parla di cose molteplici, senza riuscire mai davvero a metterle a fuoco.

Si combatte molto più sul terreno dei fatti che su quello delle idee.

Gli Stoici sono i più moderni fra gli antichi filosofi, perché hanno intuito il principio dominante della forma, affermando che non ci sono vie di mezzo fra saggezza e follia e che non ci si approssima alla saggezza, ma la si abbraccia interanente in virtù di una radicale ristrutturazione di campo, o conversione: così impone il principio della forma, o struttura, che ci fa vedere le parti sotto la luce sua propria.

Che non sia più tempo per la filosofia è testimoniato anche dal sempre maggiore fastidio per i ragionamenti in termini di principi e questioni generali: la concretezza è il nuovo verbo, lo studio dei casi la nuova esplorazione dell’universo delle cose e dei significati, la recensione delle emozioni il nuovo modo di rappresentarsi l’umano.

Se si presentasse, in qualche modo, l'impensabile, come potremmo riconoscerne la realtà?

Una cattiva filosofia alimenta la fame di realtà; una pessima toglie ogni fame.

Definizione popolare di filosofo (ma anche di psicanalista, saggio, santone): chi mi propone una verità che riconosco come tale pensando che sarei potuto arrivarci anche da solo, se solo avessi riflettuto un po' di più.

I Cinici predicavano la mancanza di pudore come massima vicinanza alla natura; oggi la mancanza di pudore è la massima distanza da essa.

Interpretare i filosofi attingendo a categorie psicopatologiche appare ingeneroso e riduttivo; perché non tentare, invece, di interpretare le situazioni psicopatologiche come possibile apertura ad una visione filosofica alla quale la salute mentale non ha accesso?

Pascal fa riflettere sulla ragionevolezza della scommessa sull’esistenza di Dio. Oggi è tempo di scommesse meno ambiziose, ma non meno necessarie: bisognerebbe infatti riflettere sull’opportunità di scommettere sulla libertà dell’uomo, contro la mole di analisi socio-biologiche che ne disegnano l’inesorabile determinazione. In entrambi i casi non si avrebbe nulla da perdere e tutto da guadagnare.

Kant, affermando il primato della ragion pratica sulla ragione teoretica, non sospettava di aprire la strada al primato della ragione amministrativa.

La filosofia non merita niente di meno di un atteggiamento serio, quindi non la piaggeria, ma piuttosto l’insofferenza.

Quello che nessuna contraddizione può fare (inceppare il pensiero), lo può un piccolo interesse.

Preziosa è la filosofia per quel che fa vedere, più che per quel che fa capire.

Lo spirito teoretico, curioso, votato alla conoscenza è smarrito e disadattato, perché non riesce da appartenere.

E' un vezzo ed un vizio dei nostri tempi definire ambiguo o fumoso ciò che non ci si prende la briga di pensare fino in fondo.

Il problema filosofico dell’esistenza di Dio è stato in tempi recenti soppiantato dal problema dell’esistenza dell’io.

La morale della compassione, già oggetto dell'aspro attacco di Nietzsche, è ormai al tramonto: tristezza, infelicità e sofferenza sono ormai avvertite come una colpa (non punibile).

Un tempo potente era la consolazione della filosofia, consolazione di conoscenza e trascendenza; oggi la filosofia non consola più nessuno di nulla, anzi, essa stessa è smarrita, alla ricerca di un’impossibile consolazione.

Religioni ed ideologie sono state accusate di essere fonte di violenza; si dimentica però che l'uomo saprebbe cavare violenza anche dalle rape.

Si è molto discusso della concretezza della filosofia. Essa è, insieme, concreta e non concreta, concreta nel senso che tocca ogni aspetto della quotidianità (c’è filosofia ovunque), non concreta nel senso che incide in misura modesta sulla realtà.

Ogni filosofo è inguaribilmente affetto dalla sindrome di Munchäusen, perché nella filosofia viene messo in atto l’impossibile tentativo di far leva su se stessi ponendosi al di fuori di se stessi.

Un fatto mostra, non dimostra.

Si è spesso definita la malattia mentale prrdita del senso della realtà, ma forse si potrebbe sospettare che talora sia un eccesso di senso della realtà.

Lo scandalo dei Pitagorici è lo scandalo stesso del pensiero filosofico, lo scandalo dell’a-logia, cioè dell’incommensurabilità, di fronte alla quale neppure l’immane potenza del logos e della mediazione può alcunché. Ci sono dimensioni che semplicemente non si possono mediare. Tali sono, ad esempio, il profumo della vita e l’ascesi quieta della conoscenza. Nel passare dall’una all’altra sperimentiamo l’accesso ad un mondo totalmente altro. Un adagio latino afferma “omne animal post coitum triste”, ogni animale, dopo il coito, è triste; ogni uomo, invece, dopo il coito è smarrito.

Nel suo profondo pessimismo antropologico l'utopia platonica si alimenta di una convinzione radicale: il potere può riscattarsi dalla sua vocazione alla violenza ed alla sopraffazione solo se si fa integrale servizio.

Siamo così fortemente ed ottusamente orgogliosi delle radici greche della nostra civiltà da non vedere quando vi sia in esse di apprezzamento della violenza, esaltazione della virtù agonistica e visione estetica dell'etica.

Più stucchevole della filosofia è solo la critica alla filosofia.

Uno scienziato afferma che esiste l’ignoto, ma non l’inconoscibile, che invece il credente ammette; un filosofo afferma che la risposta a questo dilemma è ignota, e forse anche inconoscibile.

La filosofia non esiste; se esistesse, i suoi cultori dovrebbero essere del tutto alieni da forme di sufficienza ed insofferenza.

È davvero arduo costruire la morale sui sentieri impervi della ragione, in quanto essa ha molto più a che fare con il disgusto, che non si lascia argomentare o dedurre.

Quando la filosofia ha scelto per sé un nome, ha rinunciato ad essere un orizzonte aperto e condiviso, facendosi parte, non quindi sapere in ogni sapere, ma sapere accanto a sapere.

La realtà dei filosofi, un tempo costituita da inferi, mondo umano e celeste, si è via via ridotta, popolandosi sempre più di libri di filosofia.

Filosofia è il logos che argomenta sul valore del logos, come il barone di Munchäusen che cercava di sollevarsi afferrando se stesso.

Filosofia è il tentativo di mostrare e dimostrare il valore fondamentale della coerenza. Per questo la filosofia abita questi tempi da straniera.

Più grave di tutti è il peso che grava su chi si fa carico di guardare in faccia alla realtà: il suo sguardo non è più profondo o originario, ma più dolente.

Se non fosse mai esistita la filosofia vi sarebbero sempre stati i filosofi, ma meno verbosi, pedanti e supponenti.

Mentre scienza e fede smorzano i motivi di dissidio, la filosofia se ne sta in disparte; la sua solitudine è legata al fatto che, a differenza di quelle, non può in alcun modo mostrare una qualche funzionalità.

Smontando le parole, la filosofia trova altre parole; per questo pensa ad un mondo di parole.

Contro il gramsciano pessimismo della ragione ed ottimismo della volontà si dovrebbe osservare che è la ragione ad essere tendenzialmente ottimistica (le idee vivono di uno splendore verginale), mentre la volontà sperimenta amaramente la palude nella quale ristagna ogni progetto di realizzazione delle idee.

In una cosa almeno vi è concordanza profonda fra Nietzsche e il Cristianesimo: l'affermazione del legam indissolubile fra la più grande sofferenza e la più grande gioia.

Nietzsche è filosofo del sospetto perché si fa venire il più radicale dei sospetti: forse è semplicemente ingenuo pensare che gli uomini aspirino alla felicità. Aspirano piuttosto a qualcosa che pagano con il prezzo di profonde infelicità, cioè alla potenza, qualunque cosa essa voglia dire.

Come spesso accade per i luoghi comuni, la rappresentazione di Platone ed Aristotele nel dipinto "La scuola di Atene" rovescia il senso della loro filosofia: Aristotele non la terra ma il cielo dovrebbe additare, perché, in ultima istanza, è il moto dei cieli a generale la struttura di ogni cosa che appartiene al nostro mondo; Platone non il cielo ma la terra dovrebbe additare, perché in antico sulla terra venivano tracciate le figure geometriche, ed è proprio dall'intemporalità del vero geometrico che accediamo al pensiero dell'essere intemporale principio di ogni cosa nel tempo.

Finché per l'uomo la domanda "a partire da che cosa affermo ciò che affermo?" avrà senso, la filosofia può sperare di conservare un posto nella cultura umana.

Straordinaria attualità dei filosofi: hanno inventato il concetto stesso di brand, mostrando in atto la logica della caratterizzazione, visibilità, differenziazione.

La genialità di Hegel consiste nell'aver colto che lo spirito dei tempi avrebbe posto al centro della riflessione filosofica lo spirito dei tempi.

Pienamente riscattata dall'antico discredito, l'opinione è oggi l'universare diritto di chiacchierare senza argomentare.

Fra i modi più sicuri per entrare in un manuale di filosofia è di parlarne male, con un po' di intelligenza.

Filosofia è lo straniamento di fronte all'ovvio.

La concezione di Benedetto Croce, che definiva il pensiero scientifico barbarico, in quanto legato a schemi e non a concetti, è un eccellente esempio di schema mentale.

Schopenhauer è stato volentieri perdonato (ma anche singolarmente punito) per la sua invettiva contro la filosofia che, divenuta istituzione, ha tradito la verità, ed è stato a sua volta istituzionalizzato.

Per Kant la stupidità, per la quale non vi è rimedio, è l'incapacità di rincodurre il particolare al concetto generale. Quando però questo particolare tocca il nostro interesse, l'incapacità di considerarlo in una prospettiva generale non è altro che la naturale faziosità umana.

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