Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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L'IO

Essere se stessi significa semplicemente essere soli.

Se gli altri vedono nei nostri occhi la bellezza, siamo capiti. Se gli altri vedono con i nostri occhi la bellezza, siamo felici.

Dopo la morte, lasceremo qualcosa di noi stessi nel mondo, ma preferiamo pensarla così (o non possiamo non pensarla che così): dopo la morte lasceremo noi stessi in qualcosa nel mondo.

Nelle frasi in cui affermiamo "io penso" il pronome "io" è, il più delle volte, semplicemente preso a prestito (o in commodato d'uso).

Dovendo o volendo restare a debita distanza dalla realtà, la riflessione filosofica parla sempre e solo di "io", trascurando il "noi"che sovrasta di gran lunga (e tragicamente) l'io.

Nulla suscita maggiore smarrimento del sentimento dell'io, del pensiero che può venire, qualche volta, dell'essere non un "io", ma proprio, esattamente l'io che siamo. Saremmo potuti essere qualsivoglia altro io, eppure siamo esattamente quest'io. Lo smarrimento profondo, quasi una vertigine ed un malessere fisico, non riesce a tradursi a parole, o nella ricerca di un perché.

Nell'io tutto ondeggia, come luce fra mossi rami, che splende e si offusca, e così ancora, e ancora. Tale è l'amare, il credere, il comprendere, tale l'identità stessa.

L'essenza del "selfie" non è quella di diffondere la nostra immagine nel mondo, ma di fare di noi stessi un puro occhio sul mondo, cioè su noi stessi.

Acquisiamo un'autentica e dolorosa consapevolezza di quel che vuol dire essere "io" quando ci scopriamo al centro di circuiti di chiacchiere che restano per noi in larga misura sommersi.

Quando la mente ci lascia purtroppo non lo fa furtivamente.

Le persone molto inclini all'autocritica mal sopportano di essere criticate da altri, cioè mal sopportano che il loro ego sia espropriato della sua prepogativa più preziosa.

Un ego smisurato perde se stesso dapprima scambiando sé per la realtà, poi scambiando la realtà per sé.

Si dice che in prossimità della morte scorra davanti agli occhi l’intera vita. Più che altro vediamo finalmente noi stessi. Per questo morire è così brutto.

L’io è come un sogno che guarda alla realtà. Così come nel sogno, nell’io, infatti, accadono le più sorprendenti metamorfosi che però, come nel sogno, non sorprendono affatto. In particolare l’io passa dal baratro dei sensi di colpa schiaccianti alla più dissennata esaltazione di sé.

Si dice spesso che l’io può essere più o meno dilatato, a seconda che l’uomo sia umile o arrogante. In realtà l’io non ha dimensione, ma collocazione. Tutto dipende, cioè, dal luogo nel quale viene esposto o riposto. Anche le persone più umili reagiscono con la più veemente arroganza se le si tocca proprio laddove hanno nascosto il loro io.

Seduzione e terrore, congiunti, chiudono l'io in un recinto dal quale difficilmente può anche solo immaginare di poter uscire.

Presunzione ed arroganza possono avere un barlume di tollerabilità solo se acquistate con la moneta dell’intelligenza.

L'ironia è un blando farmaco per attenuare l'impulso dell'io a fare dell'intera realtà il proprio palcoscenico.

Nel suo moto il pendolo è più lento agli estremi e più veloce nel centro; così l’io, che oscilla fra l’esaltazione ed il disprezzo di sé, indugia molto più agli estremi che nel centro di un equilibrato apprezzamento di sé.

Nella malattia l'io è cieco, nella salute sordo.

La malattia chiude il mondo all'io, che, rattrappito, si fa interamente prossimo al proprio soffrire.

Felicità è smarrire l'io fra le cose.

La filosofia dell'io attende ancora che sia scritto un lucido capitolo sulla filosofia dell'Alzheimer.

Filosofia e Psicologia, divise da profonda e reciproca antipatia, si trovano unite nel vagare dentro il labirinto degli interrogativi sull'io. Primo fra tutti, in Filosofia, quello dei suoi confini: nel conoscere e nel valutare, fin dove arriva l'io e dove comincia la cosa stessa? In Psicologia ci si domanda, invece, quale sia l'estensione dell'io, con curiose domande: vuoi vedere che l'io in apparenza più smisurato nasconde dietro l'ipertrofica arroganza nient'altro che un profondo senso di inadeguatezza? Vuoi vedere che l'io più dimesso nasconde dietro il profondo senso di inadeguatezza nient'altro che lo smisurato orgoglio di chi non si mette mai davvero alla prova perché non può sopportare l'idea del fallimento? In questa perpetua oscillazione, l'una e l'altra seguono il ritmo stesso dell'io.

Passiamo la vita a guardarci con gli occhi degli altri.

La problematicità del concetto di malattia mentale è segnalata dalla pluralità dei fondamenti possibili, che sono almeno quattro:
l'incapacità di rappresentarsi oggettivamente la realtà;
il criterio della difformità statistica del comportamento;
la sofferenza interiore;
l'incapacità di adattarsi a regole e convenzioni sociali.
Nessuno di questi riferimenti è sufficientemente chiaro e soprattutto nessuno consente di tracciare una demarcazione chiara fra salute, malattia, eroismo, genialità, originalità ed altri concetti consimili.

Quando la psicologia avrà completato la sistematica delle risposte dell'io alle situazioni ambientali l'io avrà perso ogni alone di mistero. Ed anche ogni difesa.

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