Il pensiero a riposo - Massimo Dei Cas

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VIRTU' E VIZI

Chi lava i panni sporchi in casa vive con vestiti splendidi in una casa lurida.

Il tatto lo si osserva innanzitutto nel modo di trattare gli oggetti.

Il tatto è la virtù più tangibile, cioè empiricamente osservabile.

Tristi tempi quelli in cui non il decidere bene, ma il solo saper decidere diventa una virtù.

Il tatto è l'unico senso che è anche una virtù, perché possiamo graduare la percezione con circospezione, delicatezza, rispetto.

Serietà è il servizio reso alla causa dell'antichissima alleanza fra pensiero, parola e realtà.

Il cinismo schietto si fa beffe dei buoni sentimenti, il cinismo profondo li mima.

Per ogni onesto attore di umiltà ci sono almeno un centinaio di figuranti.

Molti confondono il rigore con la rigidità imbellettata.

Ci sono anche virtù visiose ed ancor più viziate.

Quando otteniamo il plauso di molti possiamo sensatamente domandarci quante nefandezze abbiamo commesso per meritarlo.

L'avidità caratterizza molte persone, e si alimenta dell'illusione che una vita piena sia sottratta all'agguato del nulla. Oggi l'orizzonte dell'avidità si amplia oltre le cose, abbracciando le emozioni.

Sminuire gli altri è un tentativo di vederli da un'adeguata vicinanza.

Virtù profonda è, di fronte ad un problema, cercare innanzitutto le soluzioni possibili, viltà profonda cercare innanzitutto le responsabilità possibili.

Molti fra quanti hanno l'aria e la fama di miti sono in realtà violenti a lento rilascio.

Tenere le cose per sé quando è avidità è profondo egoismo, quando è discrezione è profonda generosità.

L'iperprotettività è una delle forme più dissimulate del disprezzo profondo.

L'occhio vuole la sua parte anche nell'ambito delle virtù. Sue virtù sono mitezza e delicatezza, comprensione ed affetto, e non solo quando esprime positivamente questi sentimenti, ma anche quando (il che accade più spesso) non si sofferma su quanto può suscitare imbarazzo, vergogna o dolore negli altri. Essere visti può rappresentare un'esperienza tanto confortante quando umiliante.

Usando gli altri per sopire i nostri sensi di colpa lasciamo una traccia untuosa che difficilmente si tolgono di dosso.

C'è chi si arrabbia perché solo cosa riesce a far valere le proprie ragioni, c'è chi si arrabbia perché non ha ragioni da far valere, c'è infine chi si arrabbia per qualche ragione di cattivo metabolismo.

Per come vanno le cose, essere seri è raramente un affare, se non per gli altri.

L'occhio, da sempre individuato come specchio dell'anima, lo è anche perché diventa palestra in cui esercitare la più profonda virtù della misericordia e della delicatezza. L'occhio delicato, infatti, non scandaglia mai le fattezze fisiche, e neppure le spia fuggevolmente. Quanta mitezza e bontà in quell'occhio che ci consente di essere del tutto a nostro agio!

La virtù piacciono in astratto, molto meno quando si concretizzano nelle persone, perché allora generano disagio e senso di colpa.

Chi ha il sospetto, ha il diletto.

Il cinismo è virtù se nasce come sana reazione all'ipocrisia, è vizio se nasce dall'insofferenza per ogni forma di sentimento.

L'umiltà è la virtù più preziosa, perché i maggiori disastri della nostra esistenza derivano non dai nostri errori, ma dall'incapacità di ammetterli (innanzitutto di fronte a noi stessi).

Ci sono due tipi di persone, quelle che quando scampano ad un pericolo diventano più prudenti e quelle che diventano convinte di essere invulnerabili.

Il tatto è la preziosa virtù che ci svela il valore della circospezione. Non a caso viene particolarmente sviluppato da coloro che non cedono alla prepotenza della vista, che vorrebbe convincerci che tutto è semplicemente lì da vedere.

Le anime belle si rimirano nello specchio delle loro idee.

E' sorprendente pensare a quanto si possa acquistare con la gentilezza, ed a quanto poco questa moneta venga usata.

E' curioso che una persona molto pigra venga chiamata indolente, come se avesse trovato una qualche segreta ricetta per sottrarsi al dolore.

Era un uomo pieno di sé, cioè di nulla.

Nessuna virtù sarà mai meno perdonata dello zelo.

Esistono senza dubbio persone irresponsabili, ma sono molte di più le persone deresponsabili.

Prudente è riflettere sulla natura sfuggente della prudenza, di cui virtù è talora l'eccesso, talora il difetto.

La malevolenza è la sciatteria nella malvagità.

Il moralismo non è l'eccesso della moralità, ma la sua caricatura.

C'è, oggi, sufficiente indulgenza nei confronti di tutti i vizi, eccezion fatta per la riservatezza.

Un grave colpo all'amor proprio viene assestato dalla consapevolezza che la radice delle nostre virtù (ma anche dei nostri vizi) consiste molto più nelle circostanze che in noi stessi.

Un ego smisurato è in realtà un ego smodato.

Ai tempi della Grecia antica il saggio Biante sentenziava: "La carica rivela l'uomo". Una versione riveduta ed ampliata di questa pillola di saggezza suonerebbe così: "Il denaro rivela l'uomo".

Non sono pochi quelli che coltivano la bontà e la virtù per la gioia sottile di poter giudicare gli altri.

la tendenza all'isolamento è associata ad orgoglio e supponenza, mentre in genere è solo senso di disagio ed inadeguatezza nei confronti degli altri. In realtà non le si perdona proprio questo, la viltà e l'incapacità di esporsi allo sguardo cattivo che ha bisogno di posarsi sulle persone più deboli.

Esiste un pentimento sincero, ma anche una profonda voluttà nel pentimento, che conferisce alla malvagità un gusto particolarissimo.

Il diavolo non vuole la nostra anima, vuole la nostra dignità.

Chi combatte per onestà, integrità e correttezza deve sempre sospettare che non sia l'amore per queste virtù a muoverlo, ma il piacere di diffondere i semi del senso di colpa.

Proprio della più preziosa forma di cortesia è presentare quanto dovuto non solo come dovuto, ma, per una finzione che ci fa uomini, anche gratuito o grazioso. Per questo chiediamo "per favore" anche quando qualcosa ci è semplicemente dovuto. E, simmetricamente, ringraziamo, cioè riconosciamo come grazioso, anche ciò che riceviamo come dovuto. Sintomo della disumanità del nostro tempo è, dunque, la profonda crisi di queste forme di cortesia.

Nell'arcipelago delle microetiche dei nostri tempi due isolotti sono largamente condivisi: vi si insegna che fare è meglio che non fare, combattere meglio che non combattere. In altri tempi ciò sarebbe parso una grossolana sciocchezza.

L'umanità si divide in anime belle e persone oneste (onestamente buone o cattive).

Alla scortesia non si fa mai l'abitudine, mentre della gentilezza non ci si stanca mai.

Raramente si è buoni o cattivi in senso assoluto, perché vi sono persone comprensive e compassionevoli nei confronti dei deboli ed aggressive nei confronti dei prepotenti, e persone comprensive nei confronti dei prepotenti e sprezzanti e prepotenti nei confronti dei deboli.

Perdonare davvero è dimenticare. Perdonare sublime è lasciar dimenticare al perdonato che è stato perdonato.

Dimenticare è sbadataggine, voler dimenticare è nobiltà.

Chi, parlando ad un pubblico, dimenticasse di presentarsi (senza essere stato prima presentato), potrebbe mostrare profonda modestia (non è importante chi io sia), o profonda immodestia (non c'è bisogno che mi presenti). E' per questo che la psicologia è il vero discorso sull'uomo all'altezza dello spirito dei nostri tempi: due ed opposte sono sempre le vie dell'interpretazione che ci permette di percorrere.

Se qualcuno ti invita ad essere superiore alle persone che ti offendono o mancano di rispetto, in realtà ti invita ad essere inferiore al senso del rispetto che devi a te stesso.

Una mela marcia al giorno toglie l'indignazione di torno.

La politica di lavare i propri panni in casa permette di vestire panni lindi vivendo in una casa lercia.

Il pudore è una porta fatta per essere aperta dalla chiave del sentimento, ma facilmente violabile da un comune piede di porco.

Un tempo la contrizione valeva il perdono; oggi è l'esibizione di una debolezza, di una mancanza, perfino di una nefandezza a renderla perdonabile.

Fra i tipi umani più curiosi vi sono quei buffi individui che restano legati all'idea un po' infantile che se una cosa è detta, debba essere vera, e se è annunciata, debba essere fatta.

Solo una certa età o una certa agiatezza consentono di godere delle gioie della franchezza.

La tirannide dell'euforia nasconde il volto della vera tiranna, la disperazione.

Le virtù dell'occidente (e non solo) sono inscritte nell'orizzonte dell'agonismo: virtù è eccellere nella contesa, cioè nella lotta con gli altri, con sé stessi, sul campo di battaglia, nella prova dello spirito contro la carne, nella competizione economica.

Menzionata al più come pregio, l'affidabilità è fra le più preziose virtù in un tempo nel quale potersi fidare degli altri è tanto difficile quanto necessario.

L'ozio è il padre dei vizi. Soprattutto perché induce a pensare.

Ci sono persone che piacciono agli altri perché piacciono a se stesse, e persone che piacciono a se stesse perché piacciono agli altri. E poi ci sono persone libere.

Cambiano i tempi, si aggiorna la lista dei vizi capitali. Oggi risulta così composta: non sapersi divertire; non saper riempire il tempo; non mettere qualcosa di sé in vetrina; non sentirsi sempre giovani; non provare buoni sentimenti; non essere capaci di complicità; non voler far parlare di sé.

Ogni pazienza ha il suo limite, ma lo sposta sempre un po' più in là.

Le buone scuse, come il buon vino, acquistano pregio con il tempo.

Il crinale fra comprendere e giustificare è uno dei più difficili da tracciare (e da percorrere).

Ipocrisia non è solo lo sguardo obliquo, ma anche e soprattutto lo sguardo alterno.

E' bene cercare di nascondere in tutti i modi il fastidio per la frivolezza, se non lo si vuole pagare a caro prezzo.

Difficile dire se la vergogna sia una virtù. Di certo un tempo ci si vergognava anche di fronte allo sguardo di se stessi, oggi quasi solo di fronte allo sguardo altrui.

Difficile comprendere il senso della lotta senza quartiere ingaggiata contro il garbo; meno difficile intravvedere gli scenari inquietanti cui ci introduce.

Accorgersi è fra le virtù morali più alte, di cui però ben poco ci si accorge.

L'ozio è il padre dei vizi, l'abitudinarietà ne è la madre.

Essere comprensivi è una delle virtù più a buon mercato, soprattutto quando non si comprende ciò che davvero c'è da comprendere.

Accompagnare o sbattere porte e sportelli dice molto del carattere profondo di una persona.

La guerra senza quartiere alla vergogna, che caratterizza i nostri tempi, non è priva di effetti collaterali, perché quando il senso della vergogna è perso, è perso per tutto, quindi anche per le questioni che toccano onestà, correttezza e pietà.

La ritrosia oggi ha forse riassunto il suo significato originario, di ritrarsi, o procedere a ritroso, nel senso di un voler ostinatamente tornare al passato.

Una semplice formula per avere successo: dare l'impressione di superiorità senza far sentire inferiore nessuno.

La bontà è una virtù sostenibile solo se cieca, perché raramente si tollera nella persona buona la profondità dello sguardo che coglie il male negli altri.

Vi sono persone per cui vivere è già un ripiego.

Una crisi morale va affrontata, la crisi della morale va pensata.

Preziosa e sottostimata virtù è il saper vedere, ed il linguaggio ne è testimone: diciamo "vedi tu..." intendendo "valuta bene".

Antica virtù è volere quel che davvero è bene; nuova virtù è sapere molto bene quel che si vuole.

Che virtù e valore morale siano sempre più legati all'emozione è segnalato anche da certe derive semantiche, qual è quella del verbo "meritare", in frasi come "Questo posto merita di essere visitato!", dove "merito" diventa sininimo di "attrattiva".

Principio di ogni virtù è evitare gli equivoci, per esempio la confusione di compiacimento con compiacenza.

Una nascosta fragilità ed una latente timidezza non si negano a nessuno.

Una persona schiva schiva molte cose, molte occasioni di complicità, euforia e dolore.

Della triplice vetta del perdono: perdonare, dimenticare, far dimenticare.

Dire di una persona che è sciagurata è un modo folgorante per cogliere di qual sciagure siano capaci le persone.

Fra le nuove virtù all'altezza dello spirito dei tempi quella dei decisori-decisionisti è molto alla moda: ha tutta l'aria di essere una gran cosa, anche se a voler essere indiscreti si nota che il peso delle scelte non ricade sulle persone che le prendono.

L'ozio è il padre dei vizi, l'ignoranza ne è la madre.

Vero orgoglio è quello di chi non è orgoglioso affatto, perchési sente tanto superiore da non riconoscere agli altri la possibilità di poterlo ferire.

La spudoratezza è l'apprendistato dell'impudenza.

Sapersi annoiare bene è una delle virtù più profonde dei nostri giorni, perché costringe la mente a lavorare deponendo ogni alibi.

C'è qualche volta della verità nell'ira, quasi mai nello sdegno.

Nella sua parabola il cinismo si fa da calcolato calcolatore e da calcolatore smodato.

Chi grida al lupo senza che il lupo venga non viene creduto; non si pensa che il lupo è forse già venuto.

Essere seri significa legare le parole al doppio vincolo di significati riconoscibili e di fatti certi.

Per alcuni le bugie sono una gabbia nella quale si trovano sempre più rinchiusi e soffocati, per altri sono chiavi che aprono molte porte.

La riforma delle virtù ha portato ad affermare che l'obbedienza non lo è più; non tarderà molto il corollario che l'ignoranza non è più una colpa.

Nessuna vendetta è più crudele di quella preventiva.

A differenza di quello fisico, l'universo morale non può perdere il proprio centro, senza diventare tutt'altra cosa, anche se resta sempre da discutere su dove sia questo centro. Ottimo candidato è la coerenza: agire usando principi contraddittori a seconda delle convenienze sembra essere agli antipodi dell'azione morale.

Molto si è discusso intorno al quesito se la natura umana sia buona o malvagia: né l'una né l'alta cosa, direi, è semplicemente (e bassamente) malevola.

Lo scandalo ha radicalmente cambiato latitudine:  oggi scandalizzano davvero solo vecchiaia, rassegnazione ed obesità.

La scelta del quieto vivere abita molto vicino alla scelta del bieco vivere.

Essere incapaci di complicità dovrebbe essere più virtù che vizio. Di certo è una maledizione per chi, sia l'indole, sia l'educazione, è tale. Se gli va bene passerà per presuntuoso, ma oggi rischia la diagnosi di disturbo sociopatico di personalità.

Poche cose sono più infami del cinismo dei buoni sentimenti.

Gli uomini sono prodighi di riconoscimenti, avari di riconoscenza.

Il nuovo assioma della virtù è che nessuna virtù esiste senza una vetrina che la mostri.

L'ozio è il padre dei vizi, la pigrizia è la madre delle nefandezze.

E' più onesto accettare il peso di una coscienza sporca che volerla lavare a buon mercato.

L'onesto si vanta di potersi guardare allo specchio ogni mattina; il disonesto lo farebbe volentieri ad ogni ora del giorno.

Vi sono quelli che non possono gustare un piacere senza prima averne pagato per intero il prezzo, e quelli che accumulano debiti a cuor leggero.

Le persone sorridenti ed estroverse sono, fino a (forte) prova contraria, buone, e viceversa. Così debole è la capacità umana di discernimento morale.

La mappa dei vizi e delle virtù si legge con la bussola della vergogna.

L'ipocrita non è straniero in alcun paese del mondo.

Nella malvagità sopravvive timida la speranza di redenzione; non così nella malevolenza.

Di certe persone si deve dire che sono semplicemente malevole. E non sanno essere altro.

Non esistono persone più grevi ed insopportabili di quelle che con disincanto, sufficienza e cinismo irridono ad ogni slancio, ad ogni fede, ad ogni entusiasmo. Non esistono persone più inquietanti e pericolose di quelle che esaltano come sacro ogni slancio, ogni fede, ogni entusiasmo.

Non è facile trovare pregi nel calcolo e nell'egoismo, ma si deve almeno riconoscere che senza questo linguaggio nessuno potrebbe mai davvero sapere cosa si può aspettare dagli altri.

Credere è elementare, ricredersi è geniale.

Ci si difende dall'angoscia della morte pensando che faccia parte della vita. Molto più consolante, per chi ha un profondo senso della giustizia, sarebbe il pensiero che la morte rappresenta un atto di suprema giustizia: solo essa apre sempre di nuovo lo spazio perché altri possano essere. La morte è la declinazione temporale della giustizia.

Riuscire a pensarsi davvero come un essere umano rappresenta la meta infinitamente lontana di un infinito cammino verso il senso profondo della giustizia.

Ci sono dolori segreti, dolori esibiti e dolori messi in scena.

Ogni vizio si atteggia a virtù, e con un'accorta cosmesi non fatica ad apparire come tale.

Il blasfemo e grossolano piacere di essere dio per le altre persone lo coltiviamo in diverse forme, particolarmente decidendo ciò che esse debbono o non debbono sapere.

C'è qualcosa di peggio di non riuscire ad ammettere le proprie colpe: ammetterle con l'animo leggero di chi le considera già perdonate.

Pietà non è stordire di parole chi soffre per un lutto, ma lasciarlo al suo penoso e silenzioso desiderio di incatenare il moto delle stelle al suo dolore; viene dopo, casomai, il momento della vicinanza e della parola di consolazione.

E' vero che dopo un lutto la vita continua, ma è il colmo del cinismo impudente affermarlo.

Persone davvero orgogliose raramente hanno l'aria di esserlo.

Si contrappone spesso il realismo alla difesa intransigente dei principi. Ma chi crede davvero nei principi è per sua natura fortemente realista, perché non può accettare che questi non facciano presa sulla realtà e quindi è molto attento alle condizioni sotto le quali ciò può effettivamente accadere.

Chi è senza pudore scaglia la prima pietra.

L'ozio è il padre dei vizi, la distrazione ne è la madre.

Gli pseudonimi (e tutti i loro derivati) sono spesso la passione delle pseudopersone.

La bellezza è una promessa di malvagità.

Il cinismo è avido di buoni sentimenti, li divora, se ne riveste e ne fa sfoggio.

L'allergia all'ipocrisia è una delle malattie che più rende sgradevoli a se stessi ed agli altri.

La distinzione di Kierkegaard fra etico ed estetico oggi è interamente cancellata: il giudizio sul valore dell'individuo passa in larga misura sulla sua percezione estetica.

L’onestà è l’onore dei poveri.

Voler bene non è banalmente volere il bene dell'altro, ma pensare questo bene ed essere disposti a pagare perché si realizzi.

Pregiudizi e stereotipi non sono come guardiamo e vediamo gli altri, ma come non li guardiamo e non li vediamo.

Fra i più nobili aspetti della condizione umana vi è l'aspirazione alla pulizia, fra i più ignobili le sue conseguenze.

Il limite della repulsione morale non è lo schifo, ma lo squallore.

Il denaro non puzza, semmai chi lo usa.

Si confonde spesso l'ignavia con l'indifferenza.

L'etica dei contenporanei è sostanzialmente mimetica. Le sue categorie assumodo diverse sembianze, col mutare della luce sotto che deide del nostro sguardo: così la prepotenza può anche apparire come personalità, la mancanza di principi come realismo, la spregiudicatezza come decisione.

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