2. L'Estetica Trascendentale.

Nella Critica della Ragion Pura la Dottrina trascendentale degli Ele­menti si suddivide in Estetica trascendentale e Logica trascendentale. L'aggettivo trascendentale si applica a tutto ciò che attiene non agli oggetti della conoscenza,ma alle sue condizioni di possibilità, in quanto la conoscenza stessa dev'essere possibile a priori.

L'ambito del trascendentale è, dunque, quello della ricerca sui fonda­menti di quei principi universali che costituiscono la struttura por­tante di matematica e fisica, ricerca che prende le mosse dall'interrogativo fondamentale: come sono possibili giudizi sintetici a priori?

Non si deve, infine, confondere "trascendentale" con "trascendente": quest'ultimo aggettivo si riferisce infatti a tutto ciò che trascen­de i limiti dell'esperienza possibile e si indirizza all'incondizionato, oggetto delle costruzioni illusorie della metafisica dogmatica.

Kant scrive: "Chiamo estetica trascendentale una scienza di tutti i principi a priori della sensibilità".

La sensibilità è la facoltà in virtù della quale gli oggetti ci sono dati, "la capacità di ricevere rappresentazioni,per il modo in cui sia modificati dagli oggetti". Dalla inconoscibile realtà in sé la sensibilità riceve una modificazione o affezione originaria,nel senso che non accade nel tempo, né nel­ lo spazio (essendo tempo e spazio, proprio le forme della sensibilità      imposte a tale affezione originaria).

E' necessario pensare ad una tale affezione, poiché solo essa rende ra­gione della datiti dell'oggetto empirico.

Non bisogna però pensare che la sensibilità si limiti a ricevere passivamente tale affezione: essa attivamente, per così dire, la spazializza e la temporalizza, cioè impone ad essa quelle forme a priori sue proprie, o intuizioni pure (lo spazio ed il tempo), che sono condizioni di possi­bilità di ogni dato di esperienza in quanto tale. Ogni esperienza possibile riguarda quindi oggetti nello spazio e nel tempo; spazio e tempo, poi, non derivano per astrazione dall'esperienza, ma rendono possibile l'esperienza stessa: "Pertanto, la rappresentazione dello spazio non può essere nata per esperienza da rapporti del fe­nomeno esterno; ma l'esperienza esterna è essa stessa possibile, prima di tutto, per la detta rappresentazione" (e lo stesso si deve dire del tempo in relazione all'esperienza interna).

Ciò significa che ogni proposizione esplicitante le strutture a priori dello spazio e dei tempo è un giudizio sintetico a priori, cioè una proposizione universale e necessaria che esprime un aspetto della for­ma inerente ad ogni possibile esperienza.

Le proposizioni che riguardano la forma a priori dello spazio sono quella proprie della geometria.

Proposizioni quali "per due punti passa una ed una sola retta", oppure "due rette non possono chiudere uno spazio" non si ricavano dall'esperienza, e sono quindi a priori, ma nel contempo sono sintetiche,cioè ampliano secondo universalità e necessità l'ambito delle mie conoscenze relative alla forma dei fenomeni.

Sullo spazio come forma a priori del senso esterno si fonda dunque "la possibilità della geometria,

come conoscenza sintetica a priori". Similmente, sul tempo, come forma a priori del senso interno, e quindi di ogni possibile fenomeno, si fonda l'aritmetica come scienza. Tutte le proposizioni dell'aritmetica sono infatti giudizi sintetici a priori: in ogni somma, per esempio, il risultato,ricavato a priori da quell'in­tuizione pura del tempo che permette l'operazione del contare,non è implicito nel concetto degli addendi.

Nell'Estetica trascendentale si trova dunque la risposta alla domanda: come è possibile la matematica come scienza?

Le condizioni di possibilità della matematica come scienza sono dunque le forme a priori dello spazio e del tempo, forme che la sensibilità impone ad ogni ogqetto di un'esperienza possibile.

Kant parla di idealità trascendentale dello spazio e del tempo poiché queste forme "possono valere soltanto per oggetti di un'esperienza possibile", cioè sono forme di ogni fenomeno in quanto tale,ma non si possono in al­cun modo riferire alle "cose in se stesse":"le qualità dello spazio e del tempo ... sono nel mio modo di intuire, e non in questi oggetti in sé". La realtà in sé, dunque, non è né nello spazio, né nel tempo.        

Kant parla però anche di realtà empirica dello spazio e del tempo, cioè di una loro "validità obiettiva rispetto a tutti gli oggetti che possano mai esser dati ai nostri sensi". In altri termini, spazio e tempo, pur non applicandosi alla realtà in sé, non possono essere considerati mera parvenza, poiché posseggono quella piena oggettività che si identifica con la validità universale per ogni soggetto conoscente.

Massimo Dei Cas
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