1. I fondamenti del criticismo kantiano.

Nella "Critica della ragion pura" Kant afferma che il suo idealismo trascendentale intende evitare gli scogli dei dogmatismo (razionalismo) e dello scetticismo (empirismo radicale). Il dogmatismo è ormai giustamente oggetto di discredito da parte di coloro che non si legano acriticamente ad una scuola filosofica, poiché i metafisici dogmatici non hanno saputo costruire alcun sistema intersoggettivamente valido, in quanto, nell'illusorio tentativo di cogliere l'essenza del reale utilizzando pure idee e prescindendo dall'esperienza, hanno edificato costruzioni di pensiero chimeriche ed assolutamente “private", paragonabili quindi a sogni.

Ben diversa è la situazione delle scienze,i cui principi universali e necessari sono da tutti condivisi. Kant muove al dogmatismo anche un secondo e non meno importante rilievo. Secondo i razionalisti,se noi prescindiamo, nell'analisi dei dato dell'esperienza, da tutte quelle caratteristiche che hanno il loro fondamento nella fisiologia dei nostri sensi (le qualità soggettive: colori,odori,sapori ... possiamo coglierne le caratteristiche oggettive (quelle cioè che ineriscono agli oggetti quali sono in se stessi: estensione, numero, moto… La conoscenza scientifica, dunque, in quanto conoscenza oggettiva degli oggetti, è conoscenza della realtà fisica qual essa è in se stessa,ed è concepita secondo il modello del rispecchiamento, per cui, come dice K., la nostra conoscenza "si regola" sugli oggetti dell'esperienza, poiché tutti gli aspetti "formali" che di essi conosciamo ad essi ineriscono, cioè ineriscono alla realtà in sé.

Ma se così fosse,commenta K., noi non potremmo in alcun modo conoscere a priori (cioè universalmente e necessariamente) alcunché in relazione all'esperienza: le nostre conoscenze sarebbero tutte a posteriori (cioè derivate dall'esperienza, e quindi limitate, quanto alla loro validità, all'esperienza effettivamente data all'uomo, ma non estensibili ad ogni esperienza possibile), come appunto coerentemente sostiene Hume, che, partendo dalla medesima (e per K. erronea) premessa dei razionalisti (l'esperienza è registrazione di ciò che è dato al soggetto) nega la possibilità di distinguere nell'esperienza aspetti soggettivi ed oggettivi, ed afferma che, in relazione a "matter of fact", cioè questioni di fatto, non possiamo conoscere nulla di universale né di necessario.

Se non si potesse conoscere nulla a priori degli oggetti d'esperienza, come vogliono gli scettici,le scienze sarebbero minate nei loro stessi fondamenti, cosa che Kant non ammette. Il problema è dunque questo: dato come indiscutibile che scienze come la matematica e la fisica esistono, qual è il fondamento della loro scientificità,cioè il fondamento di quei principi universali e necessari che ne costituiscono la struttura? Secondo Kant tale problema si risolve solo operando una sorta di rivoluzione copernicana,ammettendo cioè che non il soggetto conoscente debba regolarsi sull'oggetto conosciuto,ma piuttosto viceversa. Il che significa che ogni aspetto formale (cioè relativo all'ordine ed alla regolarità dell'esperienza, quindi ogni aspetto scienficamente descrivibile, cioè oggettivo dell'esperienza), non materiale,dell'esperienza rimanda, nel suo fondamento,non alla realtà in sé, ma alle forme conoscitive e trascendentali del soggetto. In altri termini: la forma dell'espe­rienza non è forma di una realtà in sé che il soggetto conoscente si limiterebbe a registrare,ma è imposta al materiale dell'esperienza (la datità dell'esperienza, il "che”, si potrebbe dire, di fronte al "come” della forma) dal soggetto trascendentale nell'atto stesso della conoscenza: è "oggetto, appunto, a "regolarsi" sul soggetto.

Conoscere è condizionare, afferma Kant, cioè imporre ai dati dell'esperienza quelle forme senza le quali essi neppure potrebbero essere da­ti d'esperienza. Il soggetto trascendentale è dunque il “legislatore” della "natura formaliter spectata" (cioè di ogni aspetto formale dell'esperienza), ed è questo il senso dei celebri passi nella prefazione alla II edizione della Critica della Ragion Pura,nei quali si afferma: " ... la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno ... La ragione deve (senza fantasticare intorno ad essa) cercare nella natura,conformemente a quello che essa stessa vi pone, ciò che deve apprenderne ...”

L'esperienza non è dunque mera ricezione o registrazione, né passivo rispecchiamento: essa è invece costruita attivamente, in tutti i suoi aspetti formali,dal soggetto trascendentale.

Se i giudizi analitici a priori hanno il loro fondamento nel principio d'identità e di non contraddizione (poiché, in quanto analitici,sono giudizi esplicativi,che esplicitano nel predicato ciò che è implicito nel concetto del soggetto,e quindi sono a priori, cioè universali e necessari ed i giudizi sintetici a posteriori hanno il loro fondamento nell'espe­rienza (poiché, in quanto sintetici, estendono le nostre conoscenze relative al soggetto,ma in modo né universale né necessario, bensì limitato all'esperienza data: questo è appunto il significato dell’a-posteriori"), i giudizi sintetici a priori (giudizi che estendono,in modo universale e necessario,le nostre conoscenze,e che costituiscono la struttura por­tante di ogni scienza) hanno il loro fondamento in quello che Kant chiama, nell'Analitica dei Principi della Critica della Ragion Pura, il principio supremo di tutti i giudizi sintetici", che così suona: "ciascun oggetto sottostà alle condizioni necessarie dell'unità sintetica del molteplice dell'intuizione in una esperienza possibile". Parafrasando, si potrebbe

dire: ciascun oggetto d'esperienza riceve necessariamente quelle for­me che gli sono imposte dal soggetto trascendentale,e che ne rendono possibile la conoscenza oggettiva, cioè scientifica (si osservi che per K. "oggettivo" non significa più l'inerente alla realtà in sé", ma "intersoggettivamente" o l'universalmente valido", cioè valido per ogni uomo in quanto dotato di ragione, in quanto all'oggetto conosciuto in quanto tale Tutto ciò (vale a dire l'abbandono della concezione della conoscenza oggettiva come riflessione) ha come conseguenza che l'oggetto conosciuto non si può definire "realtà in sé", ma piuttosto realtà per noi (cioè realtà condizionata dalle forme trascendentali del soggetto conoscente), o,come K. afferma, "fenomeno” (che non significa illusione, apparenza, ma realtà quale oggettivamente appare ad ogni soggetto conoscente).

Ciò che conosciamo è fenomeno,non realtà in sé, anche se la datità del­ l'esperienza ci impone di pensare che a fondamento della realtà fenome­nica stia una realtà in sé ("realtà noumenica", cioè pensabile), che peral­tro non è in alcun modo conoscibile,in quanto non rientra nell'orizzon­te dell'esperienza possibile, che è l'orizzonte stesso della conoscenza.

Massimo Dei Cas
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