Nella visione tradizionale, recepita anche dal senso comune, la conoscenza si costruisce sulla base di elementi dati, di informazioni sensoriali, di esperienze, che vengono diversamente combinati ed assemblati. La prospettiva cognitivistica rovescia tale prospettiva: in origine non è la percezione, ma la conoscenza, anche se la percezione o, più in generale, l’esperienza interagisce con il reticolo delle conoscenze e può imporre una sua ristrutturazione.

La mente viene concepita come elaboratore che non si limita a recepire, ma impone la forma delle proprie categorie agli input che provengono dall’ambiente. Un’antichissima immagine, che risale da Aristotele, paragona l’intelletto ad una materia ricettiva che accoglie la forma delle cose e, nel conoscere, in un certo senso, è tutte le cose. Nel cognitivismo, al contrario, la mente impone la propria forma alle cose, anche se ciò non significa, come invece pensava Kant, che tali forme siano rigide ed immutabili, in quanto variano nella dinamica aspettative-delusione delle aspettative.

La mente, in altri termini, è un sistema di aspettative, fondate sulla conoscenza, sistema mobile ed in continua trasformazione, che condiziona la stessa percezione che abbiamo della realtà.

Un esempio: un pastore abituato all’ambiente di alta montagna non vedrà comparire improvvisa e muoversi rapidamente, su un masso, una sagoma di animale, bensì immediatamente una marmotta. Chi non avesse questa consuetudine, invece, non vedrà la stessa cosa (anche se lo stimolo retinico sarà identico), bensì un animale, qualcosa di simile ad un coniglio, forse, o ad uno scoiattolo, o, ancora, ad un grosso topo.

La percezione, dunque, è sottodeterminata rispetto allo stimolo retinico (cioè non è interamente determinata dallo stimolo retinico), in quanto ciò che percepiamo è legato ad una elaborazione mentale (di cui non siamo consapevoli), la quale, a sua volta, è connessa con gli schemi della nostra conoscenza. Un altro esempio: un operatore radar, a differenza di un “profano” vede, sul monitor, non un punto luminoso, ma un aereo. Un esecutore vede la Sonata “Patetica” di Beethoven, non una congerie di segni grafici su righe parallele disegnate su un foglio bianco.

Di più: il patrimonio delle nostre conoscenze decide non solo cosa percepiamo, ma anche se percepiamo. Di solito non percepiamo le scarpe che calziamo (a meno che ci facciano male o che qualcuno ci inviti a percepirle): più in generale non percepiamo ciò che adattivamente è irrilevante. Il cervello attiva il canale percettivo laddove “sa” che la percezione diventa di importanza rilevante (il marciapiede viene percepito laddove, per esempio, vi si trova un tombino scoperto).

Alla luce di quanto detto, appare più chiara la dinamica autocorrettiva del TOTE. La mente possiede un sistema di aspettative alla luce delle quali pone in atto costantemente schemi d'azione. Tali aspettative, però, sono altrettanto costantemente controllate e, se gli schemi d'azione non sono congruenti rispetto ad esse, questi vengono corretti. Nell'esempio classico, ma un po' fuorviante, è un po' come se riempissi una vasca d'acqua per farci il bagno, controllando la temperatura dell'acqua (test), correggendo il bilanciamento acqua calda-acqua fredda se essa non va bene (operate), controllando di nuovo (test) e immergendomi tranquillamente nella vasca se la nuova temperatura rilevata è adeguata (exit). Un altro esempio può essere ancora più chiaro: quando scendo le scale, automaticamente pongo in atto una serie di schemi motori calibrati sull'aspettativa che la mente ha rispetto alla lunghezza delle diverse rampe. Capita però, talora, che tale aspettativa si riveli sbagliata, per cui compio il movimento del camminare in piano quando ancora manca un gradino. Il meccanismo di controllo autocorrettivo  verifica (test), allora, che, laddove ci dovrebbe essere il suolo, c'è il vuoto (aspettativa delusa), e pone in atto (operate) uno schema motorio correttivo, volto a ribilanciare il baricentro sbilanciato e ad evitare la caduta. Il tentativo di correzione motoria non sempre interviene in tempo utile per evitare la caduta, ma esemplifica abbastanza bene come l'attività della mente si svolga sempre in questa circolarità fra sistema di aspettative ed esperienza, dove la prima determina gli schemi motori, percettivi, cognitivi, mentre la seconda determina una serie di riaggiustamenti nella prima.

In sintesi: la conoscenza, come sistema di aspettative (o, detto in altro modo, griglia ermeneutica attraverso la quale solamente il mondo ci può apparire), determina l'esperienza, ma anche l'esperienza, imponendo continui riaggiustamenti, determina la conoscenza.

 

Massimo Dei Cas
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