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THEODOR WIESENGRUND ADORNO (1903-1969)

Adorno è il pensatore di maggior rilievo della Scuola di Francoforte. Nella Dialettica dell’Illuminismo (1947), scritta in collaborazione con Max Horkheimer, presenta un’interpretazione unitaria della civiltà e del pensiero dell’Occidente, la cui essenza è appunto l’Illuminismo, inteso come atteggiamento generale dell’uomo di fronte al mondo: esso si propone, infatti, di liberare l’uomo dalla paura di fronte allo strapotere della natura e di renderlo padrone, cioè capace di dominarla. L’uomo, per poter fronteggiare le sfide dell’ambiente, deve assumere un atteggiamento aggressivo verso la natura, deve rappresentarsi le sue prede come nemici da eliminare. Questo atteggiamento di aggressività e dominio è la radice naturale della cultura occidentale, segnata dalla logica del dominio, inteso come eliminazione dell’alterità (riduzione all’identico del diverso). Il dominio è, insieme e contemporaneamente, dominio dell’uomo su se stesso, sulla natura e sugli altri uomini: queste tre dimensioni sono indissolubilmente congiunte. Il logos, la ragione della filosofia occidentale è dunque segnata da questo peccato originale: essa tenta di ricondurre ogni aspetto della realtà e dell’esperienza all’identico, al commensurabile, a ciò che può rientrare nella logica dello scambio degli equivalenti, logica che il capitalismo eleva a principio supremo della struttura sociale. Le conseguenze negative della logica del dominio sono l’impoverimento dell’esperienza, ridotta ad una parvenza di vita, la riduzione dell’uomo ad elemento intercambiabile della società di massa, interamente assorbito dalla logica del consumismo e dell’industria culturale, la diffusione della personalità autoritaria e di regimi che elevano la liquidazione del diverso ad elemento ideologico supremo. La storia non è, dunque, segnata da un progresso di civiltà, ma piuttosto approfondimento dell’orrore e della violenza cieca e distruttiva, di cui Auschwitz è la cifra più oscura (cfr. l’opera Minima moralia, del 1951).

Adorno ha collaborato, negli studi sociologici sulla personalità autoritaria, all’individuazione di questa personalità, la cui diffusione contribuisce a spiegare, unitamente a cause di ordine economico e politico, la diffusione dei fascismi e del nazismo in Europa, ma anche fenomeni quali l’intolleranza e la discriminazione razziale negli Stati Uniti. Tale personalità è caratterizzata da un Es molto forte, da un Io debole e da un Super-io non interiorizzato; essa manifesta rispetto rigido per convenzioni e norme, sottomissione acritica all’ordine vigente e culto dell’autorità, incapacità di processi di introspezione, credenze stereotipate, ammirazione per il potere e la durezza e disprezzo per la debolezza, tendenze distruttive, svalutazione cinica della natura umana, eccessivo interesse e preoccupazione per la sessualità, comportamento marcatamente estroverso e cameratesco. La famiglia è considerata il luogo privilegiato di riproduzione della personalità autoritaria: i meccanismi dell’autoritarismo vengono infatti trasmessi dal padre ai figli attraverso il meccanismo dell’identificazione e dell’introiezione. La psicanalisi freudiana diventa così uno strumento teorico essenziale per comprendere le radici distruttive della civiltà contemporanea. Di Freud, però, vanno accolte soprattutto le riflessioni apparentemente più esagerate ed inconciliabili con una visione ottimistica ed umanistica della psiche: l’insegnamento più prezioso di Freud è infatti l’individuazione di una pulsione di morte, accanto a quella di vita, nella psiche umana. Egli ha dunque colto l’inquietante potenziale distruttivo ed autodistruttivo della psiche umana, anche se non ne ha individuato le radici storiche e non ha saputo indicare altre prospettive di soluzione al di fuori dei meccanismi sociali di repressione.

Dal punto di vista filosofico la radice più importante del pensiero di Adorno è Hegel. Adorno accoglie il pensiero dialettico, ma, nell’opera Dialettica negativa (1966) prende le distanze dagli aspetti ideologici e giustificazionistici della dialettica hegeliana. Hegel ha ragione quando sottolinea che la contraddizione non può essere considerata un fatto meramente logico, ma inerisce alla realtà; egli sottolinea giustamente la necessità di cogliere la trama di mediazioni per cui ogni determinazione è dialetticamente legata alla propria negazione ed al tutto entro cui solamente può essere pensata. Tuttavia la dialettica hegeliana è dialettica della conciliazione finale: per Hegel la potenza del negativo muove dialetticamente la storia verso un compimento finale in cui trionfano la verità intera e la libertà; per Adorno, invece, il negativo nella storia non solo non può essere considerato il germe dialettico di una superiore positività, ma si approfondisce: le contraddizioni si fanno più acute e l’uomo non conquista una maggiore libertà, ma viene sempre più asservito alla logica disumana della produzione illimitata e dello scambio di equivalenti. Contro la dialettica positiva hegeliana, che si colloca dalla parte di coloro che nella storia vincono, la dialettica negativa si propone di evidenziare la disumanità dell’esistenza e la profondità della contraddizione in un tempo in cui da una parte crescono le potenzialità produttive e quindi la possibilità di liberare l’umanità dal bisogno materiale, dall’altra crescono le forme di orrore senza nome (genocidi, stermini) ed il dominio della totalità cattiva sul singolo, di cui sono sempre più tenui la capacità critica e la sensibilità per cogliere cosa dovrebbe essere una vita degna di questo nome, una vita cioè segnata da autentica apertura all’altro, nel rispetto della sua alterità. Adorno è assai severo nella critica di quell’aspetto della filosofia hegeliana nel quale, come in buona parte della filosofia moderna, maggiormente si manifesta la logica del dominio: Hegel pone il soggetto in posizione di assoluto dominio nei confronti dell’oggetto, poiché è il Soggetto-Spirito-Pensiero consapevole a porre l’oggetto come oggetto del pensiero. Adorno afferma invece, materialisticamente, il primato dell’oggetto-materia, senza il quale il pensiero non potrebbe essere.

Una seconda radice del pensiero di Adorno è Marx. Anche Adorno è un materialista, in un duplice senso: egli rifiuta ogni metafisica spiritualistica, in quanto la considera un’ideologia consolatoria che finisce per giustificare la disumanità dell’esistenza; sottolinea poi che la liberazione dell’uomo deve essere innanzitutto liberazione dai bisogni materiali, dalla fame e da ogni forma di sofferenza fisica. Bisogna dunque cogliere l’uomo nella sua materialità: nulla di ciò che chiamiamo spirito si può in realtà comprendere disgiunto da tale materialità. Da Marx Adorno riprende anche l’attenzione alle radici economiche dell’alienazione, cioè della perdita di libertà e consapevolezza critica, e la teoria dell’ideologia, intesa come rappresentazione distorta della realtà, funzionale alla riproduzione di una struttura sociale ed economica oppressiva. In terzo luogo si può considerare eredità marxiana la concezione adorniana della funzione della filosofia: essa non può essere considerata semplice descrizione o, peggio, giustificazione della realtà sociale, politica, economica e culturale, ma deve essere, secondo l’espressione di Horkheimer, teoria critica, cioè teoria che denuncia gli elementi di oppressione e mancanza di libertà nella società. A differenza di Marx, tuttavia, Adorno non crede nella rivoluzione: la storia insegna che il marxismo ha dato vita ad un regime non meno feroce ed oppressivo del nazismo (cioè lo stalinismo). Egli non crede che il capitalismo sia ineluttabilmente destinato a crollare per cedere il posto, dopo la dittatura del proletariato, ad una società di uomini integralmente liberi ed eguali, il comunismo. Adorno parla, al più, di tenue speranza che la storia inverta la sua tendenza ad un approfondimento dell’orrore e dell’illibertà; tale speranza non è connessa con la lotta rivoluzionaria di una classe sociale, ma alla riflessione critica ed alla denuncia ferma di tutte le forme di alienazione da parte degli intellettuali e dell’arte d’avanguardia. Auschwitz segna il fallimeto della filosofia e della cultura, il cui valore è dunque quello della spazzatura; ciò non significa, però, che si debba liquidare la filosofia, poiché solo la riflessione critica può tener viva la speranza che l’orrore non si ripeta. Auschwitz pone, dunque, alla filosofia un nuovo imperativo categorico: riflettere su come si possa essere giunti a ciò, per fare in modo che l’orrore non si ripeta.

Diversi sono gli obiettivi polemici di Adorno. Innanzitutto i neopositivisti, che vogliono ridurre la conoscenza a pura descrizione priva di ogni elemento valutativo. Un pensiero privato di tutti gli elementi emotivi e valutativi coincide, per Adorno, con la stupidità: esso, infatti, finisce per giustificare l’esistenza e per consegnare l’uomo ai meccanismi socio-economici che lo dominano, poiché lo priva della dimensione critica. La conoscenza deve essere animata dal desiderio e dal bisogno, per essere effettivamente tale. Adorno attacca anche ogni forma di metafisica, cioè ogni prospettiva filosofica che presenti il piano dell’esperienza come dimensione solo superficiale dell’essere: la metafisica è ormai ideologia consolatoria, che ci impedisce di cogliere in tutto il suo spessore sconvolgente l’orrore che la storia ci propone. Per lo stesso motivo Adorno rifiuta ogni prospettiva religiosa e l’irrazionalismo mistico del pensiero di Heidegger. Questi viene accusato di aver cercato illusoriamente di soddisfare il bisogno di uscire dalla povertà estrema del presente costruendo un pensiero irrazionale e nebuloso, centrato su un concetto mistico dell’essere. Il marxismo viene accusato da Adorno di aver ftto interamente propria quella logica del dominio che avrebbe invece dovuto combattere. L’esistenzialismo, infine, viene rifiutato come ideologia vuota e superficiale: esso, infatti, presenta come problemi decisivi per la riflessione filosofica quelli del singolo individuo, unico ed irripetibile, di fronte alla necessità di dare un senso all’esistenza; ciò facendo, maschera ideologicamente il fatto che l’individuo, ormai, non esiste più, e che comunque i problemi che lo sovrastano non riguardano l’intimità della sua coscienza, ma la sua dimensione sociale, nella quale l’uomo perde se stesso (alienazione).

Massimo Dei Cas
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