IL CAMMINO DELLA SCIENZA FRA DISCONTINUITÀ, ROTTURE E PLURALITÀ
GASTON BACHELARD (1884-1962)
La storia della scienza non mostra, come voleva Duhem, una sostanziale continuità, ma è segnata da discontinuità e rotture. Nuove teorie scientifiche si sono affermate superando gli ostacoli epistemologici rappresentanti da concezioni ideologiche, inerzia, abitudini ed istinti (la psicanalisi può illuminare in merito). La filosofia non ha saputo tenere il passo rispetto allo sviluppo della scienza ed è viziata dalla tendenza ad assolutizzare indebitamente concetti scientifici (come nel caso di Kant), oltretutto spesso superati. La scienza novecentesca procede a costituire i propri oggetti a partire dalle strutture teoriche, per cui la realtà è l’oggettivo della scienza e strumenti scientifici e sostanze chimiche sono teorie realizzate. È infine necessario un pluralismo epistemologico che sappia seguire il concreto sviluppo delle scienze e la pluralità delle ragioni nei diversi campi di indagine scientifica, il cui soggetto è la città degli scienziati.
THOMAS KUHN (1922)
Ne
La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) nega la concezione
cumulativa dell’evoluzione scientifica, affermando una concezione rivoluzionaria:
un paradigma è centrato sulla risoluzione di rompicapi, sul riassorbimento
di anomalie e sulla cristallizzazione delle ipotesi esplicative (scienza normale);
l’esplorazione dell’area di anomalie può però mostrare la
problematicità della loro spiegazione, per cui si diffonde la convinzione
dell’inadeguatezza del paradigma, il che porta alla conversione di scienziati
ad un nuovo paradigma ed alla rivoluzione (scienza rivoluzionaria); la conversione
è un riorientamento gestaltico ed i paradigmi sono incommensurabili; si può
parlare di progresso della scienza, ma non in senso teleologico.
Ne La tensione essenziale (1977) attenua la tesi dell’incommensurabilità,
affermando che le diverse matrici disciplinari si confrontano su criteri oggettivi
quali accuratezza, coerenza, prospettività, semplicità, redditività.
PAUL KARL FEYERABEND (1924-1994)
In Contro il metodo (1975) afferma il suo dadaismo epistemologico che si riassume nello slogan secondo cui nella scienza “anything goes”, cioè tutto va bene: non esiste un metodo che garantisca rigidamente ed universalmente la scientificità della scienza, e l’idea che l’esperienza costituisca il banco di prova ultimo della verità delle teorie non regge. Tale slogan può essere anche interpretato come riassunto di quanto mostra la storia della scienza: di fatto, l’operare degli scienziati dimostra una spregiudicatezza tale da concludere che, per loro, tutto va bene nella ricerca scientifica, purché funzioni. Le stesse riflessioni degli scienziati appaiono spesso costituite, più che da argomentazioni razionali, da considerazioni retoriche, persuasive ed addirittura propagandistiche. L’intento dell’epistemologia di elaborare criteri rigorosi ed universali del discorso scientifico è dimostrato privo di senso dalla storia della scienza, poiché la ricerca scientifica di fatto ha sempre proceduto utilizzando in modo flessibile e spregiudicato le metodologie di volta in volta giudicate più efficaci. Non è possibile neppure dimostrare con criteri razionali la superiorità del discorso scientifico rispetto ad altri ambiti, come quello dell’arte, o la pretesa di tale discorso ad una posizione privilegiata in una società autenticamente democratica. La riflessione di Feyerabend si configura, citando una sua opera famosa, come un addio alla ragione, il cui esito non è però un banale irrazionalismo, ma l’affermazione della pluralità delle ragioni contro la ragione al singolare, e la difesa della valenza razionale di esperienze tradizionalmente espulse dall’ambito del conoscitivo, quale quella dell’arte.
Massimo
Dei Cas
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